Informazione da panico

Il 25 dicembre scorso i telegiornali hanno deliziato il pubblico con i soliti, e prevedibili, servizi sulle Festività: panettoni e tavole imbandite hanno raffigurato, come ogni anno, la sintesi della giornata dedicata al Natale. In questo clima di buoni sentimenti non poteva però mancare un doveroso, e un tantino retorico, sguardo sul teatro di guerra, nello specifico quello russo-ucraino.

Il compito di ricordare la crudeltà dei conflitti armati, a tutti coloro che erano spensieratamente alle prese con il taglio del panettone, è toccato a una malinconica inviata a Kiev, la quale ha evidenziato la spietatezza ulteriore insita nei bombardamenti portati sul territorio ucraino proprio in quel giorno di festa.

Il dramma di chi vive sotto le bombe non è misurabile, a prescindere dalla bandiera di chi le sgancia e da quella di chi tenta di mettersi in salvo. Il dolore non concede pause festive: morire a febbraio oppure a fine anno non fa molta differenza. Evidentemente il servizio televisivo si poneva lo scopo di indurre l’opinione pubblica a stigmatizzare una delle due parti belligeranti, e al contempo a simpatizzare per l’altra. La corrispondente, nel dare la notizia, ha dimenticato tuttavia un particolare, forse per lei trascurabile: il Natale ortodosso non è celebrato nella stessa data del nostro, bensì il 7 gennaio (una fragile tregua è stata infatti concordata proprio in quel giorno).

Potrebbe sembrare questo un errore banale della redazione giornalistica, ma invece è una delle tante manifestazioni della grave malattia che da tempo affligge la nostra informazione, sempre più paragonabile a un bollettino dettato dai palazzi governativi.

Nella comunicazione rivolta al pubblico il fine è sempre quello di “creare opinione”, intervallato di tanto in tanto da quello di seminare un po' di paura, se non addirittura terrore, nella collettività. Durante la pandemia abbiamo ingurgitato una dose eccessiva di orrore che ha indotto nei suggestionabili una sorta di dipendenza da panico: basta ricordare la colonna dei camion militari utilizzati per trasportare le bare, oppure le fosse comuni di New York. Ecco allora che ad inizio anno non poteva mancare la solita somministrazione di spavento alla cittadinanza, e a tal fine è stato utile puntare di nuovo i fari sulla Cina.

Nel Paese del Dragone le autorità hanno recentemente dismesso la politica del “Contagio zero”, criticata massicciamente dai nostri media e dagli opinionisti, per inaugurare il “Liberi tutti”, criticato anch’esso dai governi occidentali. Dal nulla, secondo le fonti occidentali, è ricomparso il contagio all’ombra della Grande Muraglia, e la conta dei morti è tornata ad essere simile ad una macabra danza di numeri: prima 8.000 in un giorno e poi 15.000 nelle 24 ore seguenti. Le foto scattate dai satelliti della NASA hanno ritratto parcheggi stracolmi nei pressi di presunti forni crematori, immagini diffuse insieme a quelle di ospedali affollati come nei primi mesi del Covid. Reportage che sorprendentemente hanno mancato l’obiettivo prefigurato, generando nelle persone soprattutto indifferenza, anziché terrore: a quanto pare la società sta iniziando a liberarsi dal pesante fardello di un’esistenza vissuta nel timore.

Da Pechino i giornalisti occidentali hanno descritto situazioni drammatiche, comprese le cremazioni continue di cadaveri, 24 ore su 24, per poter smaltire le vittime di questa inaspettata nuova ondata virale, ma i ristoranti cinesi in Italia (al contrario di quanto avvenne nel 2020) non hanno ricevuto disdette di prenotazione, e tantomeno è scattata la risposta fobica nei riguardi degli asiatici.

il Governo Meloni ha comunque voluto primeggiare su tutti gli altri, consigliando immediatamente ai viaggiatori provenienti dalla Cina di sottoporsi al tampone appena sbarcati in aeroporto, e a ruota sono seguite decisioni simili da parte della Commissione europea. La stampa nazionale ha giustificato il clima allarmistico indicando nel capodanno cinese, domenica 22 gennaio prossimo, l’avvio della nuova apocalisse, grazie al gran numero di vacanzieri in partenza dalla terra di Mao Tse-tung e, a quanto pare, diretti soprattutto nel nostro Paese.

Il ritorno del contagio, secondo i notiziari di inizio anno, sarebbe quindi alle porte, e riesploderebbe non certo a causa della variante che si è affacciata di recente negli States, la Kraken, ma per il pericolo che (come sempre) si affaccia da Est.

Attualmente il tema Covid è stranamente stato accantonato, a questo giro non ha attecchito nelle coscienze, per non dire che è sparito dall’orizzonte dell’informazione. Ma appena sarà necessario inoculare terrore, nel già debilitato corpo sociale, l’epidemia mieterà altre vittime, ad Oriente, e nel giusto numero per tentare di impressionare ancora una volta l’opinione pubblica (pur annunciandosi un’opera che richiede maggior impegno).

La società dello spettacolo non ama l’informazione oggettiva, preferisce anzi dividere le comunità, ragione per cui i cittadini sanno sempre meno di quanto accade realmente nel mondo in cui vivono. Un meccanismo perfetto per chi desidera togliere alla Democrazia il pilastro portante che la regge: la libertà di opinione e di informazione (art. 21 Costituzione).

Un pilastro prossimo alla caduta.

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