CALCIO & GIUSTIZIA

Caso Juve, "Nessuna ingiustizia". Rinaudo spiega la giustizia sportiva

Non si placano le polemiche sulla sentenza e c'è pure chi si appella al "ne bis in idem". Opinione pubblica, ma anche sedicenti esperti discettano senza conoscere la materia. L'ex pm di Torino oggi giudice federale: "Deve essere afflittiva e rapida"

Complottisti e giustizialisti, teoria della vendetta e tesi benaltriste, vittimismo e revanchismo… Il feuilletton giudiziario-sportivo, protagonista come un giallo d’antan la Vecchia Signora, è infinito. Il caso Juventus divide. Si dibatte e ci si stupisce, ci si indigna o si plaude ai 15 punti di penalizzazione che erano 9 nelle richieste del procuratore federale, ci si interroga sul perché “solo la Juve” di fronte ai magistrati sportivi e non pure chi ha partecipato alle compravendite da cui sarebbero originate le plusvalenze milionarie. E, addirittura, nel lessico del calcio irrompe a gamba tesa pure il latino, manco fosse latinorum, con le obiezioni sul ne bis in idem.

Saranno due mesi di tregenda, i prossimi, scanditi da ulteriori passaggi giudiziari, tra motivazioni della sentenza, appelli e altre mosse di questa vicenda che, come ha osservato Evelina Christillin, la signora degli A(g)nelli, membro della Fifa, “è una storia veramente brutta”, dove riferendosi alla ormai ex dirigenza della società “è evidente che si sono un po' impiccati da soli, perché le intercettazioni parlano chiaro”. Ma quanto sono chiare a tutti le regole, i percorsi, le azioni di una giustizia sportiva le cui decisioni, inevitabilmente, dividono tra guelfi e ghibellini, ma alimentano pure tesi non di rado ardite e polemiche, verrebbe da dire non fosse banale, da stadio?

Antonio Rinaudo è stato per decenni uno dei magistrati in prima linea a Torino sul fronte della lotta al terrorismo e ad altri fenomeni eversivi, non ultimo quello violento contro la Tav. Sempre fuori dalle correnti, il pubblico ministero ritenuto non a torto tra i più duri e determinati, era stato “richiamato” in servizio, dal vertice della Regione Piemonte, per gestire (e controllare) le pressanti e complesse operazione di gestione dell’emergenza Covid e della campagna vaccinale. Ma Rinaudo è anche un giudice sportivo, vicepresidente di sezione del tribunale federale della Figc. 

Dunque, dottor Rinaudo, incominciamo proprio dalla fine, per ora. Da quei 15 punti inflitti alla Juventus che molti considerano eccessivi e lo fanno anche rammentando che l’accusa ne aveva chiesti solo nove.
“Volentieri, ma prima è opportuno contestualizzare i fatti e chiarire cosa è contestato”.

Prego.
“Alla Juventus è contestato di aver creato artificiosamente, con altri, delle plusvalenze. Alla società non viene contestato un illecito di natura economica, anche se il codice della giustizia sportiva contempla molti illeciti in questo settore, bensì la violazione dell’articolo 4, nella parte in cui stabilisce che... società, dirigenti, atleti, tecnici, ufficiali di gara ... devono rispettare i principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva".

Torniamo alla sanzione, che fa discutere e divide.
“Intanto va detto che nel codice della giustizia sportiva vige un principio che è quello dell’afflittività. La pena deve essere afflittiva. L’art.8 lettera g del Codice di giustizia sportiva stabilisce che la sanzione della penalizzazione di uno o più punti in classifica deve essere afflittiva tant’è che se la penalizzazione sul punteggio è inefficace in termini di afflittività nella stagione sportiva in corso è fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente".

L’esatto opposto della giustizia penale. Cesare Beccaria resta fuori dagli stadi. Ma cosa significa in concreto? 
“Che la sanzione, diciamo così, deve essere rigida, severa ma soprattutto incisiva. Quindi nessun ricorso a quelle metafore che si sentono tipo punirne uno per educarne cento. Nessuna funzione preventiva né rieducativa”.

Certo fanno più male 15 punti che non 9, basta questo principio per aumentare la pena?
“Ci si deve al momento basare sulle notizie di stampa, ma è ragionevole pensare che il procuratore federale quando ha richiesto nove punti di penalizzazione volesse impedire alla Juventus di poter andare in Europa. Il giudice della Corte ha ritenuto che quel quantum non fosse sufficiente, mettendo in conto un eventuale possibile recupero da parte della squadra e così ha irrogato una pena più rigida e severa. Il criterio è correttissimo da un punto di vista giuridico. Certo deve essere parametrato e si possono fare delle ipotesi legando il numero di punti ai singoli fatti contestati. Ma questo lo si saprà leggendo le motivazioni”.

C’è chi sostiene che se la Juventus ha commesso un reato, non lo ha fatto da sola e dunque perché non procedere anche con le società con cui si sono fatte le compravendite alla base delle plusvalenze?
“Molti parlano di ingiustizia, ma le intercettazioni riguardano sempre solo la Juventus e sono dialoghi fra dirigenti della Juventus. Non si può arrivare a condannare una società sulla base di quello che dicono altri senza riscontri. Sotto questo punto di vista, ritengo che la Corte federale d’appello abbia applicato i canoni del giusto processo”.

Veniamo al famigerato ne bis in idem, non si può processare per un reato dal quale si sia già stati assolti. Perche in questo caso sì? 
“Ciò dimostra che non si conosce il Codice della giustizia sportiva. All’articolo 63 si prevede la revoca e la revisione del procedimento anche con sentenze passate in giudicato, sulla base di fatti nuovi che non era stato possibile valutare prima. Il procuratore federale ha portato nuovi elementi alla Corte che, da quanto risulta dalle notizie stampa, sarebbero stati trasmessi dalla Procura di Torino: le intercettazioni appunto, chiedendo la revoca: a Corte, anziché limitarsi alla revoca, è entrata immediatamente nel merito, valutando i fatti alla luce di quei nuovi elementi. Nessuna violazione del ne bis in idem”.

Tutto in tempi rapidi e qui la giustizia sportiva stravince su quella ordinaria. C’è un segreto?
“Un altro principio della giustizia sportiva è proprio quello della rapidità. I giudici e le parti devono cooperare per la realizzazione della ragionevole durata del processo soprattutto nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni sportive”. 

Dottor Rinaudo, le polemiche ovviamente proseguono, le tesi si incrociano e spesso si scontrano. Senza entrare, come lei correttamente ha chiesto, nello specifico processuale, che idea si è fatto di questo dibattito sulla giustizia sportiva?
“Che dopo essere diventati tutti epidemiologi, poi esperti di geopolitica e strategia militare, adesso sono tutti esperti di giustizia sportiva”.

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