8 marzo, meno proclami e più impegno

Per l’otto marzo mi sono ripromesso di comportarmi come il resto dell’anno. Evitando proclami ipocriti e dichiarare impegni che poi non si mantengono. Evitando di scrivere lettere agli uomini in cui ci si autoflagella sui comportamenti, come ho avuto modo di leggere, salvo poi scoprire che ciò che si afferma nella settimana dell’otto marzo non vale per il resto dell’anno. È inutile dichiarare come uomo come devo comportarmi verso le donne se poi, ad esempio, sento parlare di casi di molestie sul mio luogo di lavoro e taccio.

Voglio invece partire dalla bella indagine fatta, tra le donne iscritte alla Cisl, dalla Cisl Lombardia. Nei seimila questionari compilati con domande che spaziano dal gender gap alla carriera discriminante tra donne e uomini; dalla non condivisione dei ruoli di cura alla maternità; dalla non autosufficienza alla solitudine delle anziane; dallo smart-working al welfare contrattato; per poi arrivare al ruolo del sindacato e delle donne nel sindacato. Insomma, una interessante indagine su cui riflettere non solo per spunti di azione sindacale ma da cui trarre insegnamenti.

Voglio ricordare che la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è, nel nostro Paese, come in molti altri paesi europei, inferiore rispetto a quella degli uomini. Gli ultimi dati statistici ci consegnano questa triste realtà: la percentuale di occupate si attesta attorno al 51,2% contro quella degli occupati pari al 68,7%, con un significativo abbassamento del trend nel Mezzogiorno dove la percentuale è pari al 35%. Dati che comunque ci collocano lontano dalla media europea delle donne occupate che è pari al 66,8%. Le donne tendono a lavorare meno ore, in settori scarsamente retribuiti, occupano posizioni di livello inferiore rispetto agli uomini, con conseguente divario retributivo tra i generi, che inesorabilmente si riverbera nei trattamenti pensionistici.

L’indagine affronta poi uno dei temi più delicati: quello delle molestie in genere, di genere e sessuali in particolare. I dati sono drammatici perché il 44% delle iscritte Cisl, quindi comprese le attiviste pensionate, le delegate sindacali, le facenti parte di organismi sindacali, denuncia di avere subito o assistito a un episodio di molestia sul luogo di lavoro. La molestia non è solo sessuale ma come recita l’art. 609 bis del Codice penale: “qualora, infatti le molestie comportino un contatto fisico, anche fugace, o limitino in alcun modo la libertà sessuale della vittima, si configura invece il reato di violenza sessuale”. Sapendo inoltre che la denuncia per molestie non ha una scadenza ma può essere fatta anche molto in là nel tempo, dopo il fatto, qualora la donna soggetta alle molestie non sia più, ad esempio, in una condizione di subalternità e/o di paura. Purtroppo, c’è ancora molta paura e sfiducia che la denuncia vada a buon fine e di questo ne approfittano i molestatori, infatti oltre l’80% delle donne non ne parla con nessuno e poi permane una sottovalutazione dell’atteggiamento del molestatore perché, anche qui, oltre l’80% ritiene l’episodio non grave. A livello nazionale, secondo i dati Istat, sono un milione e quattrocentomila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Un dato drammatico con pochissime denunce anche perché nella stragrande maggioranza dei casi il rapporto tra chi subisce la molestia e il molestatore è un rapporto gerarchico; capo ufficio e segretaria o capo e operaia sono gli esempi classici.

L’indagine non approfondisce ma forse non era tra i suoi obiettivi, un aspetto delle molestie sessuali e cioè quando dentro il 44% che subisce o assiste a un episodio di molestia sessuale non distingue tra i due fatti. Chi ha assistito o ha ricevuto una confidenza e/o richiesta di aiuto da parte della molestata come si è comportato? Ha denunciato il caso? Le ha detto di tacere rendendosi complice del molestatore, sicuramente dal punto di vista etico è ancor peggio se questo lo fa un sindacalista. Perché la domanda successiva è questa: ma nel Sindacato esistono le molestie sessuali?

E tornando al dato precedente siccome anche nelle procedure sindacali dei nostri sportelli antiviolenza e nei centri antiviolenza in genere una delle azioni da mettere in atto è denunciare i fatti ai propri superiori gerarchicamente ma come ci si deve comportare se il molestatore è proprio il tuo superiore gerarchico? Il tuo capo reparto, l’amministratore delegato, il tuo segretario? Alla Cisl di Torino, ad esempio, esiste lo “Sportello contro le Discriminazioni” con uno slogan accogliente e impegnativo: “Non restare in silenzio. Le discriminazioni uccidono la dignità”.

Purtroppo, il dato altrettanto grave dell’indagine è il silenzio dei colleghi che assistono senza reagire, che magari minimizzano per non doversi esporre, per evitare fastidi, perché devono pensare alla carriera. Non esiste un Codice penale per costoro, credo, ma il giorno in cui la persona molestata denuncia esiste un reato morale che è inestinguibile per chi sa e non parla. Sicuramente l’indagine della Cisl Lombardia è utile a risvegliare le coscienze, in primis le nostre di sindacalisti che siamo in prima linea nelle aziende e nei nostri uffici a contatto con le lavoratrici che dobbiamo tutelare. Ma soprattutto penso che sia più utile fare meno propositi il 6 e 7 marzo di ogni anno, di essere magari meno proclamanti in questa settimana e di essere invece silenti ma coerenti, ognuno con le sue carenze, tutto l’anno.

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