SANITÀ

Liste d'attesa, famiglie tra rinunce alle cure e mano al portafogli 

Gli italiani nel 2021 hanno pagato di tasca propria 36,5 miliardi. I tempi lunghi prima causa di mancate prestazioni o ricorso al privato. La relazione Istat: "Ritardi nello smaltimento dell'arretrato". Piemonte ai primi posti per servizi coperti dalle assicurazioni

Portafogli delle famiglie più leggeri, molte rinunce a visite e cure e tempi di attesa più pesanti. È un quadro a tinte fosche quello che, tratteggiato nell’analisi dell’Istat, raffigura la situazione della sanità negli anni dell’emergenza Covid e gli strascichi che continua a lasciare e dai quali risulta difficile liberarsi. Nel 2021, secondo anno di pandemia, a fronte di una spesa di 127 miliardi in capo al sistema pubblico, le famiglie hanno pagato di tasca propria 36,5 miliardi, ben 2,5 in più rispetto all’anno precedente. Si tratta in gran parte di visite ambulatoriali, terapie di riabilitazione, acquisto di farmaci, ma anche assistenza ospedaliera a lungo termine.

“Analizzando nel dettaglio la spesa sostenuta direttamente dalle famiglie negli anni dal 2012 al 2021 si evidenzia che quella per l’assistenza sanitaria per cura e riabilitazione è aumentata in media annua del 2,1% (+2,8% dal 2012 al 2019), con una crescita della componente ambulatoriale del 2,6% (+3,4% dal 2012 al 2019). Nel 2021, il 35% della spesa complessiva per assistenza ambulatoriale è stata sostenuta dalle famiglie”, osserva Cristina Freguja, direttrice di Statistiche Sociali e Welfare di Istat, nella relazione in commissione Sanità del Senato.

Ma c’è un altro aspetto, non meno rilevante, che si lega alla lunga emergenza e che continua a far sentire i suoi effetti negativi, pur a fronte di interventi come quelli messi in atto in Piemonte e in altre regioni per recuperare l’enorme mole di prestazioni interrotte o rallentate nel corso della pandemia. L’Istituto Nazionale di Statistica rileva, infatti, come “l’impatto della pandemia ha determinato una forte mobilitazione di risorse economiche e umane per sopperire all’emergenza sanitaria. Nel contempo, sono state però distratte risorse e ridotte attività̀ che hanno ulteriormente peggiorato alcuni aspetti critici che da tempo minano le garanzie di accessibilità̀ alle prestazioni sanitarie”. 

Da qui il gran numero di persone costrette a rinunciare alle prestazioni sanitarie, che è quasi raddoppiato rispetto al 2019, passando dal 6,3 a oltre l’11 per cento. Difficoltà economiche o problemi di accesso ai servizi, le ragioni. Ancora in assenza di dati completi, le stime indicano un recupero incominciato verso la fine dello scorso anno, confermando sostanzialmente il quadro fornito appena l’altro ieri dal presidente della Regione Alberto Cirio, per quanto concerne il Piemonte e il suo piano per la riduzione delle liste d’attesa. E proprio i tempi lunghi per visite, esami e altre prestazioni sono, come sottolinea l’Istat, “un’inequivocabile barriera all’accesso, che nel 2022 diventa il motivo più frequente a fronte di una riduzione del numero di chi rinuncia per ragioni economiche”. 

La relazione presentata a Palazzo Madama è, tuttavia, estremamente severa rispetto ai proclami delle Regioni. “Contrariamente a quanto sarebbe stato auspicabile, non sembra che nel 2022 si sia riusciti a recuperare i livelli di prestazioni pre-pandemia e anche l’Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) conferma che nel primo semestre dello scorso anno la quasi totalità delle regioni non solo non ha recuperato le code accumulate durante la pandemia, ma nemmeno i livelli di specialistica ambulatoriale del 2019”. 

Tempi lunghi, che per gran parte delle prestazioni ancora persistono, la cui conseguenza rimanda ancora una volta al portafogli delle famiglie. Rispetto al 2019 la quota di persone che ha pagato interemante a sue spese visite specialistiche e accertamenti diagnostici passa, a livello nazionale, dal 37% al 41,8% del 2022. Aumenta anche il ricorso a diagnosi e cure coperte da assicurazioni private. E qui in Piemonte è tra le prime posizioni con l’8,1% della popolazione, dietro al Lazio (10,8%) e la Lombardia (9,7), mentre percentuali decisamente più basse si registrano in altre regioni del Nord come LiguriaToscana ed Emilia-Romagna che stanno attorno al 5%, mentre si scende appena sopra all’1% nel Sud. 

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