Il modello vaccini
Juri Bossuto 07:00 Giovedì 09 Marzo 2023
Le guerre hanno sempre due padri: uno putativo, che di solito si prende cura di esse alimentandole, e uno biologico, che le ha messe al mondo per fini esclusivamente egoistici. Il genitore apparente, destinato a rivestire il ruolo più importante per il futuro della prole bellica, risponde solitamente al nome di “Nazionalismo”; mentre l’altro, ossia quello che si è impegnato a fondo per concepire la guerra (con lo scopo di farne un uso a proprio ed esclusivo vantaggio), si chiama “Economia speculativa”.
Durante le fasi di un conflitto armato il mondo dell’informazione, di norma allineato al potere di turno (salvo rare e meravigliose eccezioni), tende a diventare addirittura l’amplificatore del governo nazionale impedendo, grazie alle grida indignate degli opinionisti televisivi, di dare spazio a qualsiasi voce che possa essere definita dissidente.
In Italia si è sempre faticato per ottenere il rispetto dei principi della Costituzione in tema di tutela della libera informazione. I cittadini in passato hanno beneficiato di esili spazi destinati al confronto, tra tesi diverse, solo grazie alla spartizione partitica dei canali televisivi pubblici. Chiunque avesse voluto ascoltare opinioni diverse da quelle dominanti, costruite seguendo le disposizioni delle veline rilasciate da Palazzo Chigi, poteva sperare nell’intervento di esigue testate giornalistiche e nei telegiornali “concessi” alle forze di opposizione.
Oggi nulla di tutto questo è più immaginabile. Dal 2020, con l’arrivo della pandemia, il nostro Paese è entrato di fatto in uno stato di guerra continua, seppur mai dichiarata ufficialmente, che ha proprio nel sistema mediatico la sua cartina tornasole. La conferma di questa triste realtà giunge dall’inchiesta in atto, ormai rubricabile come vicenda giudiziaria, sulle morti da Covid avvenute soprattutto nel bergamasco nelle primissime settimane in cui il virus iniziava ad affacciarsi nelle nostre comunità. Durante i mesi di febbraio e marzo di tre anni fa siamo stati oggetto di dichiarazioni ferme, granitiche che, con il passare del tempo e con l’arrivo di Draghi, sono diventate verità assolute, e quindi incontrastabili.
All’inizio il Covid è stato descritto dai media come un’influenza stagionale, e di conseguenza le città, in primis Milano, non dovevano assolutamente essere chiuse: ricordiamo gli aperitivi ai Navigli con i vip dati in pasto alle telecamere e i susseguenti contagi degli stessi pochi giorni dopo (tra questi anche alcuni leder di partito). Tutto doveva procedere normalmente poiché all’epoca, secondo la classe dirigente, il rischio non era rappresentato dal virus, bensì dalle proposte di fermare il business, compreso quello del calcio di serie A. La visione di tutela dello Stato, e quindi dei cittadini, del Governo Conte doveva confrontarsi con l’esigenza espressa da alcuni presidenti di Regione, e da qualche sindaco soprattutto nel Nord, di dover scongiurare il costituirsi di zone rosse (anche a costo di fornire al Ministero dati epidemiologici confusi).
Poi improvvisamente la svolta, affidata alla diffusione del terrore tra gli italiani. La strategia è mutata di colpo anche da parte della politica territoriale, che si è distinta nel blindare il Paese e nel costringere tutti, salvo alcune categorie professionali e commerciali, a starsene tappati in casa. Iniziava così la caccia ai disobbedienti e l’acquisto di animali da compagnia per poter fare due passi serali. L’economia, a un certo punto, aveva scelto chi mollare al suo incerto destino e chi invece aiutare. I protocolli segreti europei permisero di finanziare alcune industrie farmaceutiche, chiudere il mercato alle altre e pagare la fornitura di milioni di vaccini (mai testati a sufficienza poiché mossi da un’emergenza simile a quella bellica). Le nuove misure sanitarie favorirono pure il commercio online a scapito di quello di prossimità, ossia della piccola distribuzione.
Nell’ultima fase della pandemia i pareri disallineati erano completamente censurati o sbeffeggiati, e anche il direttore dello Spallanzani (inizialmente capofila nella ricerca e produzione di un vaccino pubblico e italiano) doveva stare molto attento nel misurare le parole critiche sull’efficacia reale del sistema messo in piedi dal Governo Draghi: l’accusa di eresia era sempre pronta a sbucare da dietro l’angolo. Le prime indiscrezioni sulle comunicazioni avvenute tra i dirigenti regionali ed i responsabili dell’organizzazione sanitaria del bergamasco, durante la fase in cui iniziò a manifestarsi il Covid, dovrebbero rappresentare un’occasione per grandi e nuove riflessioni che non temano di mettere in discussione tutta la macchina mediatica di quel periodo.
Valutazioni collettive utili non tanto per recriminare, o ipotizzare, scenari davvero imprevedibili all’epoca, ma essenziali per verificare quale influenza abbiano avuto gli interessi economici nel determinare la tragedia vissuta negli anni scorsi, nonché per comprendere come mai nessuno abbia puntato il dito accusatorio su chi ha consentito nei decenni precedenti il saccheggio sistematico del sistema sanitario pubblico: forse con ospedali attrezzati, e un idoneo numero di medici in organico, non ci sarebbero stati tanti decessi.
Non è infatti un caso che si torni a parlare di “Modello vaccini” facendo riferimento alle armi da fornire a Kiev. È fonte di enorme inquietudine apprendere dalle parole di Josep Borrell (alto funzionario della Ue per gli Affari Esteri) come si voglia aumentare il quantitativo di armi, da inviare in Ucraina, rafforzando la produzione dell’industria militare europea tramite acquisti congiunti, imitando per l’appunto quanto fatto con il vaccino.
L’obiettivo di consegnare grandi quantità di munizioni e armamenti pesanti a Zelensky potrà essere raggiunto, si legge in un documento informale dell’Agenzia Europea di Difesa, tramite l’uso del “Fondo europeo della pace” (nel quale i Paesi Ue hanno appena versato altri 2 miliardi di euro). Un’idea proveniente dall’Estonia e che consente al Nazionalismo di alimentare per altro tempo il figlio prediletto.
I padri della guerra lavorano a pieno regime per il bene di noi tutti: un affetto così grande da sacrificare l’intero continente europeo, e i suoi cittadini, sull’altare degli speculatori e dei lobbisti che si impongono in questo momento. La Pace, sicuramente, renderebbe loro molto meno.