SANITÀ & POLITICA

Sanità, allarme delle Regioni: "Mancano soldi, rischio crac" 

Lo spettro di pesanti tagli ai servizi con risorse solo pari al 6% del Pil. L'eredità del precedente Governo: mai visti i fondi promessi per il Covid (in Piemonte si aspettano 300 milioni). Il documento della Conferenza presieduta da Fedriga. Tavolo al ministero entro aprile

“Se il livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale per i prossimi anni dovrà assestarsi al 6% del Pil, occorrerà adoperare un linguaggio di verità con i cittadini, affinché vengano ricalibrate al ribasso le loro aspettative e saranno necessarie scelte dolorose”. L’allarme lanciato dalle Regioni ed esplicitato in un incontro con i ministri della Salute Orazio Schillaci e dell’Economia Giancarlo Giorgetti, raffigura uno scenario da far tremare i polsi. Nel documento predisposto dalla commissione Salute della Conferenza delle Regioni, presieduta dall’assessore dell’Emilia-Romagna Raffaele Donini e con vice il suo omologo piemontese Luigi Icardi, si legge come “il non poter disporre delle risorse sufficienti ad erogare tutta l'assistenza necessaria comporta, per la nostra sanità, il rischio, concreto, di non assistere le fasce più deboli della popolazione, con la compressione di un diritto essenziale costituzionalmente tutelato”.

A far accendere tutte le lampadine rosse nella sala controllo delle Regioni è stata la nota di aggiornamento al Def, “in continuità con quella predisposta dal precedente Governo”, in cui si configura la prospettiva che nel 2025 il finanziamento per la sanità possa scendere proprio al paventato 6% del prodotto interno lordo. Una percentuale addirittura inferiore rispetto a quella che già nel 2019, quindi prima della pandemia, aveva messo in allarme i servizi sanitari regionali sui cui pende sempre la spada di Damocle del piano di rientro (come accadde negli anni passati al Piemonte) e che oggi diviene, non a caso, uno dei punti su cui gli enti territoriali chiedono un intervento del Governo. 

L’anno successivo, il 2020, la sanità fu sconvolta dal Covid e non solo dal punto di vista strettamente sanitario e organizzativo, ma anche per quanto riguarda la spesa e le promesse, non mantenute, di ristoro da parte dello Stato. Basterebbe ricordare gli oltre 300 milioni annunciati al Piemonte dall’allora ministro Roberto Speranza e dei quali ne è arrivata, ad oggi, solo una minima parte. E proprio su “alcune scelte scellerate e promesse non mantenute” da parte del precedente esecutivo pone l’attenzione l’assessore Icardi, anche in risposta alla nota con cui i due consiglieri regionali del Pd Domenico Rossi e Daniele Valle sollecitano il governatore Alberto Cirio “affinché si attivi presso il Governo, condivida le proposte avanzate da altre Regioni, scongiurando il rischio che il Piemonte ripiombi nel piano di rientro”. 

Un appello che Icardi definisce come “frutto di una disinformazione degli esponenti del Pd, visto che insieme a Donini ho partecipato all’incontro con i ministri e che il documento è stato approvato da tutte le Regioni. Ma va anche osservato – prosegue l’assessore – che le mancate erogazioni promesse e altre scelte o non decisioni che rischiano di penalizzare la Sanità sono del precedente Governo”. Da quello attuale le Regioni si aspettano risposte concrete e, possibilmente rapide su una lunga seri di punti contenuti nel documento. Tra questi uno dei più critici e pesanti per le casse regionali riguarda proprio la lunga emergenza pandemica. Nel documento si sottolinea il “mancato finanziamento di una quota rilevante delle spese sostenute per l’attuazione delle misure di contrasto alla pandemia da Covid e per l’attuazione della campagna vaccinale di massa, per oltre 3,8 mld nell’anno 2021, a cui le Regioni hanno dovuto sopperire con risorse proprie al fine di garantire Nel corso dell’anno 2022 i bilanci sanitari delle Regioni hanno comunque dovuto sostenere il mantenimento dei costi legati al Covid connesso alla necessità di procrastinare le misure preventive, di sanificazione e di distanziamento adottate durante la pandemia, oltre alla esigenza di continuare a garantire l’attività delle Usca ed i servizi correlati all’attività vaccinale e di diagnostica soprattutto nella prima metà dell’anno 2022”.

Le Regioni ricordano ai ministri come “si è verificato nell’anno 2022, così come per l’anno 2021, un significativo scostamento tra le risorse attese dal livello nazionale e la stima di costi direttamente correlati alla gestione emergenziale e all’attuazione della campagna vaccinale. Tale minor finanziamento dei costi per fronteggiare l’emergenza, unitamente ai costi correlati alla contestuale campagna vaccinale ha contribuito all’attuale difficoltà rappresentata da diverse regioni”.

Con i bilanci in affanno la prospettiva del piano di rientro, ovvero di un commissariamento, è concreta per gran parte del Paese. Da qui la richiesta di non attuare la procedura in caso di conti un rosso, ma anche di poter ripianare in dieci anni i disavanzi provocati dai mancati ristori per l’emergenza Covid. 

Molte sono le ulteriori richieste che le Regioni intendono discutere al tavolo cui si sono detti disponibili Schillaci e Giorgetti e che dovrebbe essere costituito entro aprile. Tra i vari temi anche l’aumento dei tetti di spesa per il personale, oggi troppo bassi e tra le ragioni dell’affidamento di molti servizi medici ai gettonisti delle coop, che non vengono imputati al capitolo del personale, ma finiscono nei bilanci alla voce beni e servizi. Anche se la cassa, poi, è la stessa. E, con questi costi esorbitanti, è destinata a svuotarsi in fretta.

print_icon