Del (dopo)doman non v'è certezza

La Storia, con il suo bagaglio di guerre e di speranze popolari infrante, è una materia che andrebbe studiata a fondo, soprattutto da chi si occupa della cosa pubblica, poiché fonte insostituibile di insegnamento ed infinito contenitore di esperienze umane.  Quanti errori, e sicuramente quante tragedie, si sarebbero potute evitare se i leader del pianeta, prima di prendere una decisione importante, si fossero fermati un attimo per riflettere sulle vicende storiche del loro Paese.

Questo decennio in corso sembra voler beffare in particolar modo gli europei, i quali, come esattamente cento anni fa, si ritrovano nuovamente a fare i conti con epidemie (oggi Covid e all’epoca la Spagnola), con gravi crisi economiche e infine con una guerra che è pronta a trasformarsi in conflitto mondiale. Solamente il contesto politico si presenta con caratteristiche radicalmente mutate rispetto al passato, poiché al nazionalismo, oramai vincente su tutto il vecchio Continente, non si contrappone più quel movimento operaio di massa che fu in grado sia di rivoluzionare antichi regimi dispotici, come in Russia, che di contrastare il fascismo con la lotta partigiana.

Questo ultimo dato è tutt’altro che insignificante. Malgrado la diffusione della povertà, alimentata dall’inflazione e dal caro bollette, è quasi scomparsa l’organizzazione, fatta partito, che nei secoli scorsi consentiva di proteggere le classi sociali più deboli sino a condurle (in alcune importanti occasioni) al potere. Operai e proletari, che all’alba del Novecento, si contrapponevano al nazionalismo mossi dalla volontà di abbattere qualsiasi confine, tra i popoli della Terra, nel nome della Pace e del Lavoro.

Attualmente, il desiderio di appartenenza a comunità “dominanti” e la determinazione nel non volersi contaminare con altri hanno preso il sopravvento ovunque. Le scelte politiche attuate dalle socialdemocrazie in questi ultimi anni forniscono un lasciapassare eccezionale al ritorno in grande stile del fascismo. L’ideologia incentrata sul forte senso patriottico, e di esclusione, ha vita facile quando ovunque svaniscono i partiti impegnati (per oltre un secolo) a camminare verso “Il Sol dell’avvenir”, a costruire il mondo nuovo. Gli eredi dei sogni di riscatto e dell’internazionalismo si sono trasformati, anno dopo anno, in fermi fautori delle ideologie iperliberiste e in fanatici sostenitori dell’Europa delle lobby, anziché dei popoli.

La sconfitta elettorale della leader finlandese socialdemocratica Sanna Marin, ultrà della Nato e convinta assertrice della imprescindibile vittoria ucraina sui russi, consente ora all’estrema Destra di salire al potere. Nel Paese nordico, fedele alleato di Hitler durante la II Guerra Mondiale (seppur scegliendo di non firmare il Patto tripartito con la Germania), governerà presumibilmente il fronte sovranista, di cui è parte importante il partito estremista “Veri Finlandesi”. L’immagine da ragazzina (alla Maria Elena Boschi) che contraddistingue la Marin non è stata sufficiente per garantire alla medesima un ulteriore mandato di governo.

Il conflitto ad Est, che ha portato il nostro Continente a pericolose scelte di campo belliche, sta scombussolando equilibri politici precari. Tale fenomeno non ha colpito solo l’Italia con l’ascesa della Meloni, leader cresciuta nel Movimento Sociale di Rauti e Almirante, ma l’intera compagine dell’Unione: in particolar modo quei Paesi fortemente condizionati dalle politiche di Biden. Viviamo oggi il paradosso di un Presidente statunitense Democratico guidato dai neoconservatori nelle decisioni di carattere internazionale, artefice (o meglio concausa importante) dell’ascesa nazionalista in gran parte dell’Occidente continentale, nonché convinto assertore della distruzione del sistema sociale che caratterizzava, sin dal secondo dopoguerra, questo lato dell’Oceano.

Armare fino ai denti le forze ultranazionaliste di Kiev sarà certamente fonte di ulteriori conseguenze catastrofiche per tante democrazie (basta ricordare cosa accadde in Afghanistan dopo il ritorno a casa delle forze sovietiche), oltre ad ostacolare oggi percorsi di trattativa tra i due belligeranti.

Una confusione pericolosa che si può declinare facilmente anche all’interno dei singoli Stati Ue. Il pensiero va proprio al nostro Paese, dove il sentimento identitario lentamente ha scalzato sia l’idealismo solidale che l’orgoglio operaio. Ormai è cosa normale leggere commenti campanilistici firmati da militanti della Sinistra, i quali spesso invocano il regionalismo federale; oppure scontrarsi con inneggiamenti alla dinastia borbonica (leggendo in modo strumentale il pensiero di Gramsci e la Storia) provenienti da giovani appartenenti a collettivi extraparlamentari.  

Torna in queste ultime righe la Storia, ossia la grande assente di questi ultimi decenni, e vale oggi più che mai una nota affermazione dello scrittore di fantascienza americano Robert A. Heinlein: “Una generazione che non conosce la storia non ha passato…né futuro”.

Un futuro, quello che si presenta da dopodomani, senza futuro.

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