RIFORME

Calderoli-Schlein, autonomia non fa rima con armocromia

Il ministro leghista "rimpiange" la mancata vittoria di Bonaccini, tra i primi a chiedere più poteri per le Regioni. La linea dura della segretaria dem: "Si rischia di spaccare il Paese". Ma a chiedere più competenze, insieme a Lombardia e Veneto, era stato Chiamparino

“Mi sarei augurato che vincesse Stefano Bonaccini, anche per riprendere il dialogo con l’Emilia-Romagna sull’autonomia. Purtroppo ha vinto Vogue”. L’applauso dalla platea della scuola di formazione politica della Lega scroscia per il riferimento alla testata su cui Elly Schlein ha rivelato l’esistenza e l’importanza dell’armocromia, ma quell’auspicio sfumato è la parte più politica delle parole di Roberto Calderoli. Tant’è che non passano più di due giorni e, ieri in Sicilia la segretaria del Pd conferma la linea assai più radicale rispetto a quella incarnata dal suo avversario per la guida del partito, come rimarcato dal ministro leghista. "La grande forzatura alla quale dobbiamo contrapporci è quella della pessima autonomia differenziata che rischia di spaccare ulteriormente il Paese e taglia i diritti”, dice Schlain confermando come quello dei maggiori poteri alle Regioni che lo richiedano sia, nel nuovo corso dem, un tema ormai archiviato, anzi uno dei punti si cui fondare l’opposizione al centrodestra. Già nella manifestazione di Firenze ai primi di marzo, l’appena eletta segretaria aveva definito il testo di Calderoli “un disegno pericoloso, dal quale difenderemo la Costituzione”. 

E se è vero che una volta sceso in campo puntando al Nazareno lo stesso Bonaccini aveva aggiustato un po’ il tiro, evidenziando criticità del disegno di legge, è altrettanto vero che proprio la sua Regione era stata la prima, tra quelle governate dal centrosinistra a seguire il Veneto e la Lombardia nella richiesta di maggiori poteri. Poi era arrivato il Piemonte che adesso ha nell’attuale governo regionale e in particolare nella Lega un deciso sostenitore dell’autonomia, tanto da averne fatto la bandiera da sventolare come core businesses dall’inizio della legislatura, ma che prima aveva avuto proprio nel Pd e nella maggioranza che sosteneva la giunta di Sergio Chiamparino una decisa spinta nel solco tracciato da Bonaccini. Nel novembre del 2018 l’allora maggioranza, insieme al centrodestra che stava all’opposizione votò la richiesta dell’autonomia differenziata e pochi mesi dopo, l’allora governatore Chiamparino parlando all’assemblea dell’Anci rispondeva a poneva temi che, in sostanza, ora pone Schlein: “Chi dice che con il federalismo differenziato restano più risorse alle Regioni afferma il falso.

La questione del residuo fiscale, cioè la quantità di risorse in più o in meno che le Regioni verserebbero allo Stato, è totalmente estranea all'applicazione dell'autonomia differenziata”. Già allora il presidente della Puglia Michele Emiliano e quello della Campania, Vincenzo De Luca erano sul fronte opposto, pur stando nello stesso partito di Chiamparino e Bonaccini. Più recente il caso del Lazio, dove prima del ribaltone esponenti della giunta di Nicola Zingaretti si scagliarono contro il progetto di Calderoli, “dimenticando” che poco dopo il Piemonte fu proprio il Lazio ad accodarsi nella richiesta di maggiori poteri. 

Un testa-coda quello imposto dalla nuova segreteria piddina che difficilmente può trovare piena giustificazione in alcuni punti del testo Calderoli oggetto di criticità. “Il centrosinistra, da anni, parla di un’autonomia differenziata che nulla ha a che fare con la riforma del ministro che desta parecchie perplessità e rischia di restituirci un’Italia frammentata. L’autonomia – era stata la risposta del gruppo Pd a Palazzo Lascaris alla visita di Calderoli a Torino lo scorso febbraio – se realizzata nel modo sbagliato, causerà nette fratture, togliendo a chi ha di meno e dando a chi ha di più, aumentando, quindi, le diseguaglianze”.

Nell’agenda del Nazareno, però, l’autonomia sembra restare solo come oggetto di attacco al centrodestra, lasciando di fatto a quest’ultimo e al partito di Matteo Salvini in particolare la paternità di una scelta fino a non molto tempo fa condivisa, come lo sarebbero stati i risultati della riforma. Con buona pace di quei governatori che si accodarono, più o meno rapidamente, alla Lombardia e al Veneto e di quegli amministratori locali ai quali erano state spiegate le ragioni di una scelta, ora diventata almeno un po’ imbarazzante. 

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