Studiare non è un diritto

In questi giorni stiamo assistendo alle proteste degli studenti per il caro affitto nelle grandi città, problema che in realtà colpisce un po’ tutti ed è anche uno dei motivi per cui gli italiani fanno fatica a trasferirsi per lavoro. Quando protestano gli studenti si ha sempre il ragionevole dubbio che sia sempre chi ha poca voglia di studiare a farlo, ma in questo caso il problema esiste davvero, nonostante più di qualche personaggio fuori dalle righe.

È veramente scandaloso che alcuni studenti che abitano nell’hinterland delle grandi città si lamentano di dover prendere il treno, mentre ci sono milioni di lavoratori pendolari che lo fanno tutti giorni da sempre. Non mi risulta che manchino strade e ferrovie in Italia. Vorrei far notare che ci sono lavoratori che fanno i pendolari fra Torino e Milano con viaggi di durata compresa fra le 2 e le 3 ore all’andata e altrettanto al ritorno. Ovviamente simili personaggi rendono ridicola la protesta, ma che nella sua essenzialità denota un effettivo problema. La protesta è stata subito politicizzata dai gruppi di sinistra sempre pronti a cavalcare qualsiasi protesta e dobbiamo assistere al delirio di alcuni personaggi che vorrebbero dei sussidi per sostare all’università anche se non fanno esami. Insomma una sorta di università a tempo indeterminato. Sarebbe comodo avere un alloggio gratis senza fare esami all’università e di straforo magari fare un lavoro, possibilmente in nero. In Germania alcuni lavoratori si iscrivevano all’università per avere alloggi a prezzi vantaggiosi, ma in ogni caso erano costretti a fare gli esami. Questi vogliono togliere anche il vincolo degli esami per vivere a spese della comunità. La gente si deve alzare la mattina per spaccarsi la schiena per pagare le tasse che finiscono a dei nullafacenti. La protesta dei gruppi di sinistra a volte sembra più dettata da una necessità psicologica di illudersi di fare qualcosa di buono per il mondo che ad una razionale scelta politica.

In seguito a questa protesta sono tornate di moda locuzioni come “diritto allo studio” e “diritto allo casa”. Premesso che sarebbe un fatto positivo garantire a chi ne ha bisogno e lo merita la possibilità di studiare, esiste veramente un diritto allo studio? In un paese relativamente ricco come l’Italia sembrerebbe una cosa normale, ma riflettendoci si tratta di un vero diritto? Come si può far valere questo fantomatico diritto? Detto in parole estremamente semplici per garantire il “diritto allo studio”, c’è bisogno che qualcun altro paghi. Significa prelevare da alcuni con la forza e dare ad altri.

Non si tratta di un diritto fondamentale legato intrinsecamente alla persona valido in ogni circostanza. Per esempio, il diritto all’uguaglianza di fronte alla legge è sempre valido in ogni circostanza e in ogni luogo. Ma i cosiddetti diritti economici sono sempre validi? Ovviamente no. Un caso banale. In Ucraina, oggi, può essere garantito il diritto all’abitazione o allo studio? La risposta è scontata. Un diritto che dipende da altri o meglio dall’estorcere risorse da altri e da varie circostanze può chiamarsi diritto o è meglio usare un altro termine? L’Italia nell’immediato dopoguerra in cui si moriva di fame poteva garantire il diritto allo studio o alla casa o gli altri mille diritti derivati? Non si vuole affermare che permettere di studiare a chiunque sia meritevole non sia giusto, ma che semplicemente non si possa chiamare diritto.

In un paese ricco con un’elevata tassazione possono essere destinate delle risorse agli studenti meritevoli, ma ciò non può essere definito un diritto. Alla fine è una maggioranza che decide se e quanto destinare delle risorse prelevate coattivamente dai cittadini all’istruzione. I diritti fondamentali di una persona sono quelli alla vita, alla libertà, all’uguaglianza di fronte alla legge e infine ma non meno importante alla proprietà individuale che rimane un limite alle pretese del potere politico.

Inventare sempre nuovi diritti non fa altro che restringere sempre più gli spazi delle libertà e delle responsabilità individuali creando anche delle mostruosità giuridiche con diritti che a volte si sovrappongono, ma spesso si contrappongono. Come poter garantire il diritto allo studio e contemporaneamente a quello ad un equo compenso per una prestazione lavorativa? Se è necessario prelevare soldi dalle tasche dei lavoratori per darli agli studenti non sto elidendo il diritto ad uno stipendio dignitoso dei lavoratori per soddisfare il diritto allo studio?

Il “dirittismo”, ovvero la mania di creare sempre nuovi diritti, ci fa tornare indietro al periodo preilluminista quando esistevano i cosiddetti privilegi e non si era uguali di fronte alla legge, ma con una grossa differenza: i privilegi erano frutto di consuetudini radicate da secoli che avevano un qualche senso sociale e giuridico, mentre gli attuali diritti servono solo a soddisfare minoranze organizzate e chiassose. L’ordinamento giuridico si trasforma da strumento per la pacifica coesistenza degli esseri umani garantendo la giustizia, a strumento per la soddisfazione dei desideri individuali che assurgono a diritti codificati da norme che lo Stato nella sua presunta onnipotenza deve soddisfare.

Fintanto che i cittadini saranno relativamente benestanti e vorranno pagare potranno essere garantiti alcune forme di tutela economica a chi ha bisogno, altrimenti i cosiddetti diritti economici per quanto possono apparire auspicabili, saranno solo aspirazioni, al contrario dei diritti fondamentali della persona che sono sempre validi.

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