Fare "Centro" in Europa

Manca un anno alla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo. Un voto disciplinato dal sistema elettorale proporzionale e quindi favorevole e funzionale per marcare il successo – o meno – della propria proposta politica. Perché il sistema proporzionale, oltre a molti altri elementi positivi per una rinnovata qualità della nostra democrazia, ha quel grande pregio che ti permette di presentarti di fronte agli elettori senza annacquare eccessivamente la tua identità culturale e il tuo progetto politico. E anche in un contesto alquanto confuso ed approssimativo, sarà possibile misurare la valenza delle singole offerte politiche.

È indubbio che si tratta di un compito abbastanza semplice per la destra identitaria e di governo di Giorgia Meloni, per la sinistra massimalista e radicale della Schlein e per il populismo trasformistico del nuovo corso dei 5 stelle. Ma all’esame delle urne è chiamato anche un altro progetto politico che si va consolidando in questi ultimi mesi, al di là della concreta esperienza dell’ormai ex terzo polo. Si tratta del cosiddetto “Centro”. O meglio, di chi crede che sia sempre più indispensabile e necessario ridar vita ad una “politica di centro” in una cornice caratterizzata da una insidiosa e anche volgare radicalizzazione della lotta politica e da una sempre più insopportabile polarizzazione ideologica tra i due maggiori schieramenti in competizione. Certo, non si tratta di un partito identitario come capitava nella prima repubblica e agli inizi della seconda. Inevitabilmente si tratta di un soggetto plurale che mette insieme culture e sensibilità ideali diverse ma che debbono essere capaci, al contempo, di dar vita ad un progetto politico che nasce forse ancora come un “cartello elettorale” ma che dovrà trasformarsi rapidamente in un soggetto politico vero e proprio dopo la prossima consultazione europea. E questo al di là degli esponenti, a volte anche pittoreschi, che partecipano ai vari incontri preparatori. Perché la vera sfida resta quella di saper legare nel medesimo progetto le culture fondanti di questo futuro soggetto politico. Quella cattolico popolare, quella liberal democratica e quella laico riformista. Il resto, come ovvio, è utile e necessario ma puramente complementare.

Ecco perché le prossime elezioni europee assumono una importanza né secondaria e né puramente numerica o quantitativa. Si tratta di misurare, concretamente, la valenza politica e progettuale dei vari progetti in campo. Anche perché il verdetto elettorale è sempre quello decisivo, al di là delle alchimie e dei sistemi elettorali più o meno trasparenti. Soprattutto quando c’è, come ricordavo all’inizio, un sistema elettorale di marca proporzionale. E lì sapremo se la cultura e la “politica di centro” hanno, o meno, un radicamento sociale e territoriale consistente e significativo e una credibilità politica altrettanto importante. Per questo la costruzione del progetto non può essere affidato a figure estemporanee o ad esponenti privi della necessaria capacità politica ed organizzativa. Insomma, anche per il Centro è il momento in cui deve prevalere la “politica” con la P maiuscola a scapito dei soli organigrammi e tatticismi vari.

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