ACCADEMIA

UniTo (e diviso), mezzo ateneo boccia la svolta woke del rettore

Da Giurisprudenza a Economia: tutti i dipartimenti che votano contro il nuovo Statuto dell'Università di Torino. Dai principi di sostenibilità ambientale alle attività eticamente accettabili. Contestazioni su forma e sostanza. Geuna accerchiato

Una fronda interna che il Magnifico non si aspettava di avere. Mezzo ateneo si ribella alla svolta woke di Stefano Geuna e vota contro la revisione dello Statuto dell’Università di Torino. Problemi di forma ma soprattutto di sostanza: sono molte le riserve dopo il via libera del Senato accademico, l’11 ottobre scorso, seppur con i voti contrari, tra gli altri, dei professori Sergio Foà, che è pure il delegato per le questioni legali del rettore, e Michele Rosboch. L’altolà arriva dai dipartimenti, chiamati a fornire il loro parere. Mercoledì la bocciatura di Giurisprudenza, che ha votato all’unanimità il giudizio contrario, è di ieri, invece, il niet di Economia. In precedenza si erano espressi negativamente anche il dipartimento interdisciplinare Culture, Politica e Società (CPS), Psicologia, Matematica e Studi umanistici. E di altri si attende il responso. Senza il parere positivo della metà più uno dei dipartimenti il nuovo Statuto non passa e per il Magnifico di via Verdi sarebbe un’onta difficile da sopportare.     

Nelle motivazioni espresse dal professor Giovanni Boggero, in qualità di relatore del gruppo di lavoro che ha redatto il parere di Giurisprudenza, si ripercorre l’iter che ha portato alla stesura della nuova versione dello Statuto, nel quale si ravvisano anche “profili di illegittimità”. Si definisce “non motivata la scelta dell’Ateneo in autotutela di discostarsi dalla procedura originaria” che ha portato alle dimissioni di “molti componenti” della commissione che era stata istituita per riscrivere la Carta. Forzature, secondo i giuristi, che rappresentano il peccato originario del Magnifico di via Verdi, a cui viene imputata anche la decisione di essere andato in Senato accademico richiedendo un voto, favorevole o contrario, sull’intero impianto e non con due voti separati, sul Titolo 1 e sulla restante parte, come previsto dall’articolo 89.

Ma è nel merito che si annidano le innovazioni più “pericolose” stando ai giudizi, anche informali, pronunciati da una serie di interlocutori (inascoltati) di Geuna. C’è il tentativo di ampliare gli scopi istituzionali dell’Ateneo (non più solo ricerca e didattica, ma attività para-politica come dimostrano i riferimenti al benessere della persona o alla giustizia sociale). Questi nuovi scopi diventano anche gli obiettivi a cui devono tendere le attività tradizionali di insegnamento e ricerca che, anziché essere libere e disinteressate, diventano vincolate a scopi sociali e politici. “Gravissima, al proposito, è la norma sulle attività eticamente accettabili”. Roba, appunto, da Stato etico che segna quella torsione woke da più parti contestata.

“L’Università promuove la realizzazione e il benessere della persona e lo sviluppo solidale e sostenibile della società, valorizzando le attitudini di ciascuno” è uno dei periodi incriminati e che indicano una chiara inclinazione politica dell’ateneo. Non mancano poi metafore ed espressioni colloquiali che poco si attagliano a un testo normativo: “L’Università è motore culturale e tecnologico del territorio” e “Promuove attività di divulgazione e disseminazione per la diffusione estesa della cultura scientifica”. Uno stile ampolloso e retorico che concede fin troppo al politicamente corretto col rischio di sfociare, proprio in nome del pluralismo, nella cancel culture.

L’articolo 10, creato ex novo, prevede che nell’Ateneo si “osservino i più elevati standard di etica” e ancora “L’Università persegue il comportamento etico nella ricerca scientifica della propria comunità”. Un passaggio potenzialmente pericoloso se un giorno qualcuno dovesse decidere che la sperimentazione sugli animali, per esempio, non è etica. Inoltre, articolo 12: “L’Università riconosce il valore etico e strategico della cooperazione internazionale allo sviluppo in una prospettiva di giustizia globale, lavorando per il raggiungimento degli obiettivi di uno sviluppo umano sostenibile”. E infine (articolo 13): “L’Università fa proprio il principio di sostenibilità ambientale, sociale, economica e culturale, promuovendo azioni dentro e fuori dall’Ateneo”. E poi “si impegna a creare un ambiente sano ovvero accessibile a tutte le soggettività e a tutti i corpi, rispettoso del territorio, delle comunità locali, degli ecosistemi e funzionale alla creazione di una responsabilità collettiva in tal senso”.

Forse troppo? Per molti sì. Dopo il parere dei dipartimenti, il cui il via libera è tutt'altro che scontato, dovrà arrivare quello del Ministero. E questa volta a rischiare la bocciatura è proprio il rettore.

print_icon