Declino e menefreghismo

Torino assediata dallo smog; Torino sostenibile, sociale ed inclusiva; Torino green e destinata inevitabilmente a diventare presto una metropoli moderna (grazie alla Fondazione Bloomberg). Nella premessa ci sono tanti buoni propositi, alcuni approcci programmatici appartenenti al passato (inclusione e welfare), e una sola grande verità: il massiccio inquinamento che avvelena l’aria del capoluogo subalpino. 

Una dose considerevole di metalli e gas tossici entra ogni giorno nei polmoni dei torinesi, e quindi direttamente nel loro sangue. L’ avvelenamento colpisce i cittadini di molte metropoli, oltre al pianeta che ci ospita, ed in Piemonte è stato il prezzo imposto dalla più grande industria automobilistica italiana, la Fiat, in cambio di lavoro.

La famiglia Agnelli, per alcuni decenni, ha tenuto in ostaggio l’ex capitale sabauda imponendole parcheggi ovunque e la libera circolazione dell’automobile. Condizionamento che ha reso la vita difficile agli assessori sensibili verso i temi ambientali, e ha fortemente pesato sulle decisioni riguardanti il futuro della città stessa. Tra una partita a scopone con l’amministratore delegato di corso Marconi e una riunione a porte chiuse, alcuni sindaci hanno preso atto, sin dagli anni ’90, della loro impotenza di fronte a un colosso industriale che ha sempre anteposto il profitto (legittimamente) agli interessi della comunità torinese.

Oggi, la fiumana di operai che al cambio turno invadeva le piazze e le vie di Mirafiori è solo un pallido ricordo. Il grande stabilimento di corso Settembrini offre attualmente scarse opportunità occupazionali e si prepara a diventare una fabbrica di smontaggio, anziché di assemblaggio produttivo. La grande industria, infatti, ha abbandonato la metropoli subalpina in cerca di nuovi lidi, contraddistinti soprattutto da massicci aiuti di Stato e bassi salari. Nei quartieri Sud di Torino, quindi, si smonteranno le auto usate per recuperare le batterie dismesse, con buona pace per tutto l’indotto automobilistico, mentre a Nord i lavoratori costruiranno veicoli aereo spaziali e armi sofisticate (polo produttivo strategico militare).

Cambiamento di pelle importante per lo storico capoluogo piemontese: muta che sembra sconvolgerne il tessuto sociale, evidenziando così le innumerevoli contraddizioni che feriscono la città, lasciandola in una profonda crisi di identità urbana. Cedimento strutturale dovuto anche a una miriade di scelte superficiali compiute nel tempo dagli amministratori e, soprattutto, a un numero elevato di “non scelte”. Tra queste, sicuramente, spiccano quelle relative alla trasformazione dell’area dello stabilimento di Mirafiori: argomento su cui sembra che nessuno voglia disturbare il manovratore.

Come è stato sottolineato altre volte in questa rubrica, le piazze e le vie di Torino non celano la propria sofferenza poiché assomigliano sempre più a quelle della Boston postindustriale (ecco che torna il modello americano): strade segnate da una sorta di anarchia individuale che accomuna i benestanti ai disagiati. Esattamente come accaduto oltreoceano, in città si scatena l’indifferenza, la solitudine, il proliferarsi di aree non soggette al controllo pubblico.

Torino svela il proprio malessere divulgando il numero delle famiglie che sono costrette a chiedere aiuto alla Caritas, che si affiancano a chi invece soffre in silenzio. Rivela il suo disagio con il proliferare di bande giovanili pronte ad aggredire chiunque osi guardare nella loro direzione, e con l’arte del sopravvivere ricorrendo alla simulazione, come fanno parecchi finti mendicanti e falsi senza tetto accampati sotto i portici del centro storico (paradossalmente causa di minori sostegni a quelli veri). 

Deriva torinese resa evidente anche dalla noncuranza della moltitudine dedita allo svago: persone abituate (specialmente il sabato sera) a parcheggiare le proprie autovetture sulla pedonale piazza Carignano, fronte Ristorante Cambio, sui marciapiedi delle vie limitrofe a via Roma, oppure (incuranti di qualsiasi conseguenza) creando doppie file lunghissime, in centro come in periferia, e abbandonando l’auto in mezzo agli incroci.

Nessuna lotta di classe prende vita nell’ex culla del socialismo del XIX secolo, e neppure si vedono all’orizzonte progetti condivisi indirizzati a un riscatto sociale collettivo. La cornice che accompagna il declino di Torino è quella del menefreghismo trasformato in regola comunitaria universale. 

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