Tre modi di essere Popolari

Il destino dei Popolari. Molti, secondo me giustamente, ne invocano la presenza e il ritorno politico, culturale ed organizzativo. E non solo perché questo filone di pensiero è strettamente connaturato alla storia democratica del nostro paese ma per la semplice ragione che questa cultura politica, attraverso i suoi dirigenti, leader statisti, ha quasi sempre giocato un ruolo decisivo nella politica italiana in tutti i suoi tornanti più delicati e decisivi. Un ruolo, questo, che viene riconosciuto anche dai peggiori detrattori dell’esperienza del cattolicesimo popolare e sociale. Ma, come capita spesso, si sottolineano le ragioni politiche del ritorno di questa cultura politica e, al contempo, si incespica sul percorso organizzativo che dovrebbe dare voce e gambe a questo progetto. Ora, dando per scontato che ad oggi è quasi impossibile riproporre una esperienza politica identitaria ed autonoma – che, comunque sia, resta sempre la strada migliore e più coerente per riaffermare la specificità di questa tradizione politica – è indubbio che occorre individuare un percorso che non entri in profonda e pesante contraddizione con la storia e la cultura di questo filone ideale.

Dando per scontato che qualsiasi scelta è legittima, seppur opinabile, oggi abbiamo sostanzialmente tre modelli che accompagnano un possibile e potenziale ritorno della presenza politica dei Popolari. Innanzitutto, c’è il modello che, per semplificare, potremmo dire di Delrio e di Castagnetti, cioè della corrente Popolare all’interno del Pd della Schlein. Una presenza che si colloca in un partito che, con il “nuovo corso” intrapreso dalla segretaria uscita vincente dalle primarie di quel partito, ha assunto una precisa e netta identità politico e culturale. Ovvero, un partito che interpreta il ruolo di una sinistra radicale, massimalista e culturalmente libertaria. Come ripete spesso la sua stessa segretaria nazionale. Cosa centri la cultura, la storia e la tradizione del popolarismo di ispirazione cristiana in un partito del genere, resta un mistero. Politico, ovviamente, e non di fede. Per queste banali motivazioni, la presenza politica dei Popolari all’interno di un partito con una identità così netta e definita assomiglia molto alla storica esperienza dei “cattolici indipendenti di sinistra” all’interno del Pci negli anni ‘70. Dove, non a caso, venivano gentilmente concessi una manciata di seggi parlamentari e qualche ruolo negli organigrammi del partito – ovviamente di complemento – per confermare la natura cosiddetta “plurale” del vecchio Pci. Un modo come un altro, forse, per liquidare definitivamente ed irreversibilmente la cultura e la tradizione del popolarismo di ispirazione cristiana.

Poi c’è il secondo modello che è quello presente nella coalizione dell’attuale centrodestra. Qui la riflessione è molto più breve perché la presenza Popolare nel centrodestra è puramente personale e quindi del tutto testimoniale. Nei vari partiti come nella stessa alleanza politica. E questo per la semplice ragione, e senza alcuna polemica, che la prospettiva politica, culturale, etica e anche programmatica del centrodestra prescinde dalla specificità culturale e dalla tradizione del cattolicesimo popolare e sociale.

E, infine, c’è una terza possibilità. Ed è quella di ricondurre la presenza e il ruolo del cattolicesimo popolare e sociale ad una prospettiva di Centro. Quando dico Centro non penso, come ovvio, ad un luogo statico, che vive di una rendita di posizione, trasformista e che resta equidistante dai due schieramenti maggioritari. Al contrario, si parla di un Centro inclusivo, dinamico, plurale, riformista e con una spiccata cultura di governo. Un luogo che, storicamente e politicamente, è più coerente con la storia secolare del cattolicesimo popolare e sociale. Certo, va pur detto che per il Centro e per una vera e credibile “politica di centro” i partiti personali e del capo non sono compatibili e né congeniali. Un luogo di Centro, partendo come ovvio da chi oggi si candida a declinare quel ruolo politico, non può che essere caratterizzato da una leadership diffusa, da un programma autenticamente riformista, da un modello di partito inclusivo e dove la cultura politica di fondo non è solo distinta o distante o addirittura alternativa, com’è il caso della sinistra radicale, massimalista e libertaria, ma coerente e lineare con quella prospettiva politica. Ecco perché, se si vuole contribuire a rilanciare nella cittadella politica italiana, anche e soprattutto con coerenza e lungimiranza, la tradizione e la cultura del cattolicesimo popolare e sociale, non tutte le scelte sono uguali. Seppur nel pieno rispetto del pluralismo delle varie opzioni politiche ed elettorali.

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