L'autarchia in periferia

“Il punto dell’ordine del giorno -varie ed eventuali- allarga troppo il dibattito. Permette di discutere senza freno e allunga i tempi, per cui abbiamo deciso di eliminarlo”. I consiglieri di minoranza, insieme a molti cittadini, rimangono basiti di fronte alle dichiarazioni rilasciate dalla giunta circoscrizionale per giustificare l’atto di censura nei loro confronti.

Non appagati nei loro desideri di mettere tutti a tacere, alcuni membri dell’esecutivo hanno aperto il dibattito pure sul tema “interventi degli oratori” in sede di commissione di lavoro e di consiglio, evidenziandone l’eccessiva durata: “Se tutti intervenissero per 7 minuti non si andrebbe più avanti, per cui meglio accorciare, e magari far parlare solo un consigliere per gruppo, assegnandogli una manciata di minuti”. Alcune settimane addietro, una coordinatrice (ruolo corrispondente nei quartieri a quello di assessore comunale) ha illustrato alla commissione, da lei stessa presieduta, cosa intende per “Democrazia” usando poche parole, ma esplicite: “noi potremmo portare in commissione solo le prese d’atto, per cui senza possibilità di confronto, se apriamo alla discussione è solo per generosità nei vostri riguardi”.

Le commissioni di lavoro dovrebbero fungere da importante strumento di partecipazione, motivo per cui sono state istituite anche nelle circoscrizioni, ma negli ultimi anni sono diventate purtroppo uno sfogatoio di rito dove le parole dei consiglieri, e ancor più quelle dei pochi cittadini partecipanti, non hanno alcun tipo di efficacia e cadono letteralmente nel vuoto. 

La procedura per elargire contributi è semplice, lineare e non prevede intoppi “democratici”: il progetto confezionato da un’associazione arriva ai coordinatori, i quali (in seguito a valutazioni prettamente politiche) lo portano in giunta per l’approvazione, e poi in commissione al fine di “presentarlo”. Raccolti gli interventi (anticipati dalla premessa che non si possono apporre modifiche), il progetto passa nuovamente in giunta per essere formalizzato e mettere così la parola fine a qualsiasi momento di costruzione partecipata. Le proposte finanziate, di norma, sono attività iniziate ben prima della deliberazione che approva la spesa; modalità che, oltre a rendere incerta l’attesa copertura finanziaria prevista dall’associazione beneficiaria, sovente impedisce al Pubblico di fare chiarezza su come vengano usati i fondi pubblici. 

Altre delibere, invece, hanno un percorso ancor più semplice, poiché è sufficiente approvare un documento di indirizzo, di solito a inizio consiliatura, per poter scavalcare il consiglio e sottoporre ogni decisione a una rituale presa d’atto in commissione. In questo caso i coordinatori esordiscono, all’apertura dei lavori, con la solita frase che denota una naturale predisposizione al confronto: “Si ricorda ai consiglieri che si possono solo esprime sulla conformità dell’atto e che non è previsto alcun dibattito”.

Il quadro, sin qui descritto, si riferisce a una Circoscrizione in particolare (che conosco molto bene): l’auspicio è che nelle altre il tema della partecipazione non sia vissuto con tanta sofferenza da chi detiene la maggioranza dei seggi. La speranza, del resto, è sempre l’ultima a morire.

Gran parte dell’attività circoscrizionale avviene tramite il rilascio di contributi ad associazioni varie, il rimanente invece con la concessione di locali ad uso gratuito. Niente di tutto questo richiede il voto consiliare, e l’organo assembleare viene svilito di continuo, trasformandolo nella sede in cui discutere interpellanze (dopo mesi di giacenza sulle scrivanie degli assessori comunali competenti), mozioni e qualche ordine del giorno a tema squisitamente territoriale (in caso contrario cala la censura presidenziale che cassa il documento a monte). Le stesse concessioni di esternalizzazione degli impianti sportivi non accedono all’aula, e la politica non può che arrendersi di fronte a un’altra anomalia: ai concessionari viene garantita la copertura dell’80% della spesa legata alle utenze, ma i consiglieri non hanno modo di attuare verifiche in aula sulla conduzione degli impianti stessi. Il consiglio, quindi, non può valutare l’impegno di chi attua una gestione realmente sociale e, tantomeno, sanzionare (non rinnovando la concessione) chi pensa solo a fare profitto usando un bene comune e aiuti pubblici. 

A complicare le cose giunge anche l’eredità lasciata dall’epoca emergenziale del Covid, lunghi mesi in cui tutte le riunioni si svolgevano online per motivi di sicurezza sanitaria. Terminati lockdown e isolamento di massa, qualcuno ritiene che ancor oggi sia competenza del coordinatore di turno decidere quando riunirsi in presenza, e fare politica guardandosi negli occhi, e quando invece convocare le commissioni in videochiamata. La decisione è di uno sulla testa di tutti, sempre nel nome della Democrazia. Le riunioni virtuali sono decisamente comode quando hanno per oggetto argomenti imbarazzanti per la maggioranza: fare opposizione in questo modo è davvero difficile.

L’ultima moda a favore della Democrazia assembleare è quella di rispondere alle interpellanze, che si ricorda essere atti ispettivi, trasmettendo semplicemente un datato comunicato stampa (come fatto recentemente da ASL/Assessorato in riscontro ad un quesito avente ad oggetto la RSA di via Farinelli): ennesimo schiaffo assestato sulla faccia dei consiglieri (soprattutto a quelli di minoranza).

Le circoscrizioni furono istituite per affermare l’attuazione (prevista dalla Legge) del decentramento, e innanzitutto per garantire la partecipazione dei cittadini e la trasparenza. A cosa servano oggi non è chiaro: certamente non a costruire percorsi di Democrazia partecipata, ma forse per allenare all’uso del pugno duro e dell’arroganza i futuri assessori, o ministri. Un percorso educativo che testimonia l’ennesima deriva autoritaria in atto. Deriva che in realtà dovrebbe preoccupare i sinceri democratici, e che invece si sta trasformando, nel silenzio più assoluto, in regola incontestabile. 

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