I nostri Anni Venti

Il 2020 passerà alla cronaca come l’anno del cambiamento epocale. Dai primissimi mesi di questo decennio si sono susseguiti una serie di eventi simili ai tasselli di un domino che, cadendo uno dopo l’altro, hanno stravolto la nostra società.

Il tassello messo a capofila è stato senz’altro quello denominato “Covid”. Un pezzo molto importante che ha permesso di verificare la reale fattibilità del controllo totale sulla nazione, e soprattutto sui suoi cittadini. Il virus non ha impegnato solamente schiere di medici e di ricercatori, ma pure un complesso sistema repressivo che ha fatto leva su obblighi e divieti, nonché su un meccanismo incentrato nel mettere le persone l’una contro l’altra. Il familiare, il datore di lavoro, il preside o il vicino di casa durante i vari lockdown furono trasformati in severi guardiani che, indefessamente, vigilavano su chi rifiutava la vaccinazione e sul corretto possesso del Greenpass.

Il secondo tassello si chiama “Guerra”. Il conflitto russo-ucraino ha permesso all’Italia di accelerare la sua mutazione, inviando, per la prima volta dopo la fine del regime mussoliniano, un corposo sostegno in armi a una delle parti impegnate sul campo di battaglia. La Costituzione repubblicana “ripudia la guerra”, ed a causa di questo principio fondamentale era solito mascherare gli interventi bellici, sul territorio straniero, con la dicitura “Missione di pace”. Da qualche mese, invece, è possibile allargare i confini europei usando missili e droni, sostenere il massacro in atto a Gaza e tirare qualche bomba pure in Yemen senza alcuna vergogna. La stessa informazione, mai totalmente libera, ora è intrisa di retorica di guerra e, nel nome della patria, non ammette repliche.

Il Parlamento ridotto quasi della metà dei suoi componenti, una riforma presidenziale in corso di elaborazione e il premierato Draghi fanno parte di un unico tassello, quello che ha istituzionalizzato il cambiamento dell’Italia da Paese democratico, in cui sulle questioni più importanti si faceva almeno finta di discutere, a nazione pre-autocratica. È scomparsa l’opposizione militante, mentre l’epidemia ha fatto tabula rasa dell’aggregazione sociale, della partecipazione e delle piazze piene di manifestanti dalle bandiere colorate (dal rosso dominante). Nel deserto urbano rimangono solo plotoni di nostalgici che fanno il saluto romano, contando su una tradizionale impunità.

Ora è la volta del tassello fondamentale, si potrebbe dire il pezzo da sempre più desiderato: l’unico il cui posizionamento richiede pace sociale assoluta e silenzio stampa. Si tratta dell’assenza di concertazione sulle questioni economiche, del silenzio popolare davanti ai grandi interessi finanziari e alle speculazioni. Il banco di prova ha dato un ottimo risultato, poiché nessuno (o quasi) si è organizzato per protestare contro i recenti aumenti immotivati di gas, luce, carta, generi alimentari. La quiete ha reso quindi possibile programmare nuovi “grandiosi” progetti a danno del territorio e dei suoi abitanti (magari strumentalizzando parole quali “green”, “ecosostenibile” e “compatibilità ambientale”).

Il Governo non perde occasione per elencare le opere che ritiene prioritarie: le centrali nucleari, malgrado il doppio referendum in cui ha vinto il No; il ponte sullo Stretto; le trivellazioni in mare; i rigassificatori e (ultimo ma non per importanza) la sostituzione delle risaie del vercellese con impianti fotovoltaici. Quest’ultima potrebbe sembrare una notizia fake, talmente sembra inverosimile, invece è stata davvero comunicata la costruzione di due megaimpianti voltaici e di una stazione elettrica (per il trasferimento dell’energia prodotta dai pannelli solari) nel cuore della baraggia vercellese.

Il primo, denominato Evergreen FV Enfinity, verrà costruito nel Comune di Santhià, e occuperà una superficie di 140 ettari con l’installazione di circa 130.000 moduli fotovoltaici, mentre il secondo sarà collocato sul territorio del Comune di Buronzo e avrà una superficie di 100 ettari. Italia Nostra ha denunciato lo scempio in arrivo, evidenziando come l’incauta operazione metta a serio rischio l’ambiente e il paesaggio: “Un danno irreparabile all’agricoltura di qualità risicola Dop baraggia, l’unica Dop riconosciuta in Italia sul riso”.

Gli agricoltori non nascondono la preoccupazione di fronte all’esproprio di ampie porzioni dei loro terreni coltivati, e alcuni annunciano addirittura la possibile chiusura delle attività. In quest’ultimo caso non solo si perderanno enormi quantità di produzione di riso, con probabile aumento delle importazioni e del prezzo al consumo, ma si favorirà pure la trasformazione di un’area paludosa in ambiente secco. Le conseguenze climatiche e i danni alle falde acquifere che ne deriveranno, a cui si aggiungono le drammatiche conseguenze per l’avifauna che vive sul territorio, sono facilmente immaginabili.

Vige uno strano concetto di tutela dell’ambiente che assomiglia più che altro alla difesa di interessi economici del gruppo dei soliti noti. Chi detiene il potere preferisce non dover gestire altre contestazioni sul modello Tav in Valle di Susa. La frustrazione sociale attuale, creata ad arte, facilita finalmente l’imposizione del bavaglio a chiunque tenti di dire la sua.

La Storia insegna però che quando tutto tace in realtà si stia avvicinando una terribile bufera. Un vento dirompente che potrebbe salvare la baraggia dall’ennesima distruzione ambientale. 

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