Democrazia oltre il Démos

Tra le varie connotazioni attribuibili al concetto di democrazia, una centralità assume sicuramente la partecipazione, ritenuta un diritto semplice da esercitare, ma in effetti complesso sin dalla sua interpretazione. Giovanni Sartori precisava essere cosa diversa dalla mobilitazione intesa semplicemente come un far parte e Giorgio Gaber, nel suo toccante canto, concludeva che la libertà non è uno spazio libero ma partecipazione. E già, se non si vuole essere solo mobilitati o essere numero, inteso come quantità, di una partecipazione non partecipata, occorre essere informati anche da canali mediatici in cui regni deontologia e qualità professionale, libertà e volontà di essere soggetto di pluralità, capacità di distinguere opinioni personali da faziosità, settarismo, partigianeria e indipendenza dalle volontà politiche.

Ecco, raffigurato il quadro, si sarebbe detto, del sol dell’avvenire, ci chiediamo in che tipo di democrazia viviamo. Certamente plurale per dialettica e lotta ai fini dell’incremento del consenso e quindi del comando, poi monolitica, compatta di un robusto spessore, al fine della salvaguardia dello status quo di un sistema, di fatto non riconosciuto da una parte di popolo che si esprime non partecipando al voto.

In queste ore siamo stati spettatori di un monolitismo di sistema che, forse, non avevamo avvertito negli ultimi decenni. L’Europa è in subbuglio. In Romania, Polonia, Olanda si sono mobilitatati centinaia di migliaia di agricoltori e trasportatori, in Germania, da due giorni, Berlino è paralizzata da migliaia di mezzi agricoli, da lunedì 22 la mobilitazione partirà anche in Italia. La protesta, essenzialmente, è rivolta verso l’Unione europea e la sua politica green, incauta e scriteriata tesa all’immiserimento dell’agricoltura europea. Ma dopo abitazioni, automobili, lombrichi e vermi da degustare, il tutto in ossequio alla filosofia di Davos, questa volta gli uomini di Bruxelles hanno errato. L’Unione europea ne esce tramortita, in linea con il cammino del tramonto che da anni, segnaliamo, essere in atto. Non esultino gli europeisti, se l’agonia dell’Impero Romano d’Occidente è durata all’incirca 250 anni, possiamo attendere anche qualche quinquennio. Ma questa è un’altra storia.

Vogliamo ragionare sul comportamento della nostra informazione, che definirla indecente sarebbe il nulla. Come è stato possibile che una mobilitazione europea di tali proporzioni sia passata in silenzio sulle nostre televisioni e sui nostri giornali? Ad eccezione di una trasmissione su Rete4 che ha mandato qualche minuto di panoramica sulla Porta di Brandeburgo, e avrebbe fatto meglio a non farlo, considerando che il suo modesto inviato non ha spiegato nulla in un pezzo di colore in cui abbiamo appreso dove avevano passato la notte una coppia di agricoltori. Siamo al Minculpop della democrazia, non sarebbe stato possibile per i direttori di tutte le testate decidere e organizzare una simile censura. No, Destra e Sinistra, Fascisti e Antifascisti, Conservatori e Progressisti, Paternalisti e Femministe, e potremmo continuare tanto su queste desuete dicotomie, si sono trovati accomunati nel preservare l’immagine edulcorata di un europeismo di scarsa credibilità. Crediamo di mostrarci comprensivi per un sistema informativo che in questo periodo è incappato in un‘altra delicata criticità.

Anche grazie all’opera del Cardinale Fernàndez, definito esperto di porno-teologia, Francesco si è ritrovato una bufera nella Chiesa. Si pensi al rifiuto di applicare le indicazioni vaticane da parte dell’Episcopato africano, alle posizioni di molti cardinali, di vescovi francesi e nordamericani, a proposito della benedizione delle coppie omosessuali di cui il Cardinale ha stilato vari documenti che, in ultima analisi, sono apparsi come canovacci per comiche. Così come l’intervista televisiva di Francesco, che con alcune risposte, da un punto di vista teologico allarmanti, quale l’Inferno deserto, ha rasentato tratti di comicità. Del rifiuto d’obbedienza ad un Papa, delle pungenti osservazioni sul suo operato dello Stesso Segretario di Stato, non vi è stata traccia nella nostra informazione. Anche qui bisogna preservare una decadente immagine e non occuparsi della crisi del Cristianesimo in Occidente.

Insomma, è preferibile che il popolo non sappia, che non comprenda i rivolgimenti planetari, il futuro dell’Umanità, il lavorio di Davos. Si occupi delle schermaglie della politica. Dell’Europa, si occupi delle prossime elezioni, del prossimo confronto delle nostre due leader politiche, di chi prenderà più voti per fare, fondamentalmente, la stessa politica. Da qualche versante si è accarezzata l’ipotesi di appellarsi alla Commissione parlamentare di vigilanza per i sevizi radiotelevisivi. Ingenuità, come chiedere all’oste la bontà del suo vino. Sarebbe utile, forse, un qualche segnale rivolto al Presidente della Repubblica sullo stato del sistema informativo rispetto alle esigenze di una democrazia compiuta a cui tanto si richiama. Noi con Einaudi continueremo a credere che occorra Conoscere per Deliberare e continueremo a voler comprendere per scegliere e operare.

*Vincenzo Olita, direttore Società Libera

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