Diplomazia cercasi con urgenza

In Europa sono molte le professioni non più in grado di dare soddisfazione morale, oltre che economica, a chi le esercita. L’incarico diplomatico, seppur prestigioso e ben retribuito, è sicuramente tra queste.

I negoziatori internazionali sono stati messi in un angolo oramai da molto tempo, malgrado la diplomazia sia un’arte antica. I re, sin dalla comparsa sulla Terra delle prime civiltà, si sono riferiti ad essa per porre fine a conflitti bellici, oppure con lo scopo di evitare sin da subito spargimenti di sangue grazie all’elaborazione di mediazioni accettabili per tutti.

I diplomatici, in passato, erano raramente senza lavoro. In Italia i dipendenti del dicastero degli Esteri, durante la Guerra Fredda, riuscirono a intrecciare un’importante rete di relazioni con l’URSS, e il dialogo evitò per decenni l’acuirsi delle crisi che periodicamente attraversavano il Vecchio Continente. L’installazione di missili sovietici a Cuba, avvenuto nell’ottobre 1962, spinse Washington e Mosca sull’orlo dello sterminio nucleare, ma all’ultimo la mediazione ebbe la meglio sui generali di ambo le parti, mettendo la parola fine alla pericolosa prova muscolare in corso tra le due superpotenze mondiali.

La diplomazia del nostro Paese negli anni ’70 è intervenuta parimenti in Medio Oriente, aprendo un fitto dialogo con Arafat, storico capo dell’Organizzazione pe la Liberazione della Palestina (Olp): scelta che, tra le altre ricadute politiche, ha ridotto enormemente il rischio di atti terroristici sul territorio italiano. 

Attualmente gli statisti e i diplomatici sono letteralmente scomparsi, lasciando il pianeta in balia dei produttori di armi. È di questi giorni la notizia dell’avvio di grandi manovre militari Nato a ridosso dei confini dell’enclave russa che si affaccia sul Mar Baltico. Novantamila soldati, provenienti da tutte le nazioni dell’Alleanza atlantica, simuleranno la risposta difensiva all’invasione dei territori dell’ex Patto di Varsavia da parte di Mosca: manovre che si pongono (come hanno dichiarato i promotori dell’esercitazione) l’obiettivo di dimostrare la potenza di fuoco contro cui si schianterebbe un’imprudente armata avversaria.

I vertici militari occidentali hanno inoltre rimarcato, in occasione della conferenza stampa, che sarebbe opportuno non dare più per scontata la pace, poiché sembrerebbe ineluttabile il tentativo russo di riprendersi la Germania Est, i Paesi Balitici, la Svezia e la Norvegia. Una sorta di gara in cui vince chi crea i peggiori scenari di war games (ma purtroppo tutto questo non è parte di un videogioco) ha sostituito la politica dell’accordo, del paziente lavoro svolto per evitare a tutti i costi i conflitti. La guerra russo-ucraina ha generato un enorme cortocircuito in cui soprattutto i leader occidentali alimentano il fuoco che divampa ad Est, anziché provare a ridurlo dando vita a trattative.   

Quasi nessuno vuole ricordare gli antefatti che hanno condotto alla guerra. Le persecuzioni etniche a danno degli ucraini russofoni, e i susseguenti combattimenti, sono iniziate nel 2014 sotto lo sguardo di un’Europa del tutto indifferente. La retorica occidentale definisce la Federazione russa una minaccia reale alla sicurezza dei Paesi Ue. Secondo il capo della difesa norvegese nel giro di tre anni il Cremlino potrebbe marciare sull’Europa settentrionale, ma ad oggi è vero il contrario poiché è stata proprio l’Alleanza Atlantica ad espandersi sino a lambire i confini della Federazione: la difesa del proprio “Cortile di casa”, evidentemente, è permessa solo agli Usa quando intervengono in America Latina per insediare, pure manu militari, governi “amici”.

Il diritto di parola in Italia è riconosciuto esclusivamente alla demagogia di guerra e alle bugie di cui la medesima si nutre. Il recente bombardamento portato da Kiev al mercato di Donetsk, in cui sono morti 27 civili russofoni, non ha suscitato da parte dei media nostrani alcuna parola di pietà nei confronti delle vittime, anzi qualcuno ha ipotizzato che tutto sommato la popolazione filo-russa se la sia cercata sostenendo l’azione militare del Cremlino. Solitamente chi prova sofferenza per i caduti di ambo i fronti, o invoca la tregua, è dipinto dagli opinionisti dei salotti televisivi come un traditore della patria: l’articolo 21 della Costituzione è ormai abrogato di fatto. 

La non diplomazia, fatta di comandanti e politici maldestri, si illude che le radiazioni nucleari facciano acquisire i super poteri, anziché uccidere le persone polverizzandole; allo stesso tempo giustifica, chiudendo gli occhi e tappandosi le orecchie, la violenta rappresaglia perpetuata dall’esecutivo nazionalista israeliano contro il popolo di Gaza. Ad esclusione di Papa Francesco nessuno invoca la Pace, la ragionevolezza, il buon senso e la ricerca di un definitivo “deponete la armi” (atteggiamenti definiti da un quotidiano torinese come espressione del “pacifismo degli utili idioti di Putin"). Muoiono bambini, donne, soldati in guerre decise da chi è al riparo da qualsiasi brutalità: guerre combattute per proteggere gli interessi economici di pochi.

Prima che tutto arrivi al punto di non ritorno, e alla catastrofe nucleare, tocca ai cittadini europei esprimere ai dirigenti della Nato, e ai loro leader politici, il dissenso totale nei confronti dei campi di battaglia (ovunque essi siano): dissenso fondato sulla consapevolezza che nessun interesse finanziario vale il sacrificio delle genti ucraine, russe, israeliane, palestinesi e di qualsiasi altro popolo.

I padroni del mondo devono essere indotti a ricordare una grande verità, ossia che siamo tutti fratelli (migliaia di anni fa è iniziato tutto da un piccolo nucleo di umani che ha generato i nostri avi). Contro l’assurdità della guerra occorre marciare per tutta Europa partendo da Assisi, e gridando ai quattro venti: “Non in mio nome!”. Manifestare anche a costo di sembrare (secondo alcune testate giornalistiche) degli “Utili idioti” a difesa dell’umanità e di un pianeta sempre più sofferente.

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