L'incerta identità di Torino

Un programma televisivo ha trasmesso recentemente alcune interviste fatte ad alcuni torinesi. L’immagine di Torino emersa dal servizio giornalistico è quella di una metropoli senza identità, dal futuro incerto, in cui ci si imbatte nella miseria ad ogni passo.

Un ritratto purtroppo realistico in cui però mancano i “benestanti”, numerosi invece nel capoluogo piemontese, ossia coloro che indossando abiti griffati, all’ultima moda, attraversano il centro storico con enormi autovetture per raggiungere locali “in” ed esclusivi.

In effetti, la forbice che allontana il reddito delle classi agiate da quello dei ceti popolari si è ampliata molto negli anni post-pandemia. Stride con maggior evidenza, rispetto al passato, il contrasto tra chi passeggia elegantemente sotto i portici, per recarsi a cena, ed i cumuli di cartoni e coperte che forniscono un giaciglio a chi dorme per strada. Stupisce, in tal contesto, l’indifferenza reciproca con cui i due mondi si incrociano: neppure uno scambio di sguardi avvicina i primi, impegnati nella promenade, alle persone coricate ai margini dei marciapiedi, o sdraiate pericolosamente a ridosso della massicciata dei tram (come accade in corso Vinzaglio). 

Il cuore storico di Torino soffre quasi al pari delle periferie, mostrando anche la fatica di essere la vetrina ufficiale della metropoli. Il sabato è il giorno della settimana in cui contraddizioni e disuguaglianze emergono con maggior vigore, e basta fare due passi tra piazza Castello e piazza San Carlo per rendersene conto. I locali notturni attirano moltissimi clienti, gran parte sotto i trent’anni, e in assenza di parcheggi disponibili costoro si aggiustano come possono: l’area pedonalizzata di via Roma, quella di piazza Carignano, gli stalli per residenti (strisce blu e gialle) ed i marciapiedi di via Principe Tommaso diventano così enormi aree di sosta in barba a tutti i divieti.

L’immagine di Torino che emerge nel week end è simile a quella di una enorme banlieue francese, oppure di un sobborgo di Chicago dove l’emarginazione genera una sola priorità: mantenersi a galla. Nella terra di nessuno qualsiasi mezzo è legittimo, compreso la spartizione a pagamento dei giacigli di fortuna (suddivisi tra zone con più passaggi e vie isolate, quindi meno ambite) e l’abbandono delle autovetture in aree riservate esclusivamente ai pedoni. Una baraccopoli di cartone fa così da sfondo a una decina di auto di lusso parcheggiate in via Roma, mentre ogni sabato sera piazza Carignano viene trasformata in un parcheggio riservato ai clienti di uno storico ristorante prospiciente la piazza stessa.

L’individualismo esasperato è la linfa vitale di un sistema che preferisce la legge del più forte ai valori della solidarietà: nel nome della mercificazione e del profitto vince chi si fa meno scrupoli nei riguardi degli altri. Una sorta di privatizzazione di tutto il tessuto urbano, presto formalizzata dal nuovo Piano Regolatore marchiato Bloomberg, ha indotto il Pubblico a sfilarsi da ogni sua competenza, lasciando ai meccanismi sociali “naturali” la soluzione di qualsiasi disagio (o il suo evolversi in malattia cronica e terminale).

Il sistema politico si illude infatti che a forza di contributi assegnati a enti privati si possano risolvere tutti i problemi che attanagliano Torino. I destinatari delle erogazioni, tramite la presentazione di progetti, propongono priorità e interventi a cui il Pubblico si adegua immediatamente, nella speranza di poter abbandonare ad altri le “patate bollenti” che gravano sul territorio: la dimostrazione di una spaventosa assenza di progettualità in coloro che ci governano.

La sofferenza in cui sono caduti i servizi sociali cittadini, un tempo fiore all’occhiello di Torino e migliori d’Italia, è evidente a tutta la cittadinanza. Le attività delle Circoscrizioni dipendono dai riscontri che arrivano agli uffici in seguito alla pubblicazione delle Linee Guida, ossia dall’assegnazione di locali e di risorse alle associazioni che manifestano la disponibilità a collaborare con le istituzioni, seppur esclusivamente sui temi in sintonia con i loro campi d’azione. Un esempio recente giunge da Torino Sud (Circoscrizione 2) dove un’altra eredità del progetto Urban II è sparita per sempre: il servizio destinato agli anziani di via De Bernardi. 

Il luogo riservato all’assistenza di cittadini soli, e non più del tutto autosufficienti nella cura di sé stessi, lascia il posto a un’associazione (non laica) che si occuperà del benessere delle famiglie tramite attività culturali e di ascolto. Un progetto nuovo, sicuramene interessante e utile alla popolazione, ma frutto di un impulso privato e non certo di un’iniziativa circoscrizionale maturata dal confronto con cittadini e terzo settore.

Gli avvisi pubblici non accompagnano Torino verso un traguardo di giustizia sociale e di equità, bensì consentono agli amministratori di alleggerirsi di molti problemi affidandoli ad altri, a cui è demandata pure quella programmazione una volta in mano agli enti territoriali. Metodo discutibile che inaridisce il tessuto sociale trasformando i politici eletti in passacarte, ed i privati in capri espiatori (quando le cose non vanno come dovrebbero). 

La privatizzazione di Torino è oramai avviata con forza: evitare di inciampare nelle “imbarazzanti” conseguenze di tale scelta non sarà cosa facile.

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