Armiamoci e partite

L’Unione Europea, secondo le intenzioni dei padri fondatori, doveva garantire la pace tra i popoli che nei decenni precedenti erano stati colpiti da due conflitti mondiali. Il libero commercio avrebbe dovuto essere la causa scatenante dell’avvio di rapporti sempre più stretti fra le nazioni, sino a passare da un’unione di scambio di materie prime, e manufatti industriali, a una vera e propria federazione fra le genti del Vecchio Continente. 

Nei fatti, purtroppo, non si è mai riusciti ad andare oltre al mercato, e le misure varate dalle istituzioni europee hanno spesso condotto a politiche nazionali di austerità e di privatizzazione dei servizi essenziali. L’entrata in vigore della moneta unica ha contribuito a stabilizzare le economie dei singoli Stati e a contenere l’inflazione, ma non è stata in grado di fermare la delocalizzazione produttiva e tantomeno la disoccupazione. 

Di fronte al peso crescente dei tanti movimenti sovranisti di destra, la politica sembrava finalmente disposta a riequilibrare gli obiettivi dell’Unione, oramai in fase di ampliamento verso Est, tramite ulteriori azioni che non mettessero al centro solamente gli interessi commerciali. Da ultimo, veniva detto, si sarebbe arrivati a un’Europa sociale e dei popoli.

L’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea è stata annunciata come una svolta epocale, poiché la nuova leader avrebbe dato priorità al contrastato attivo del disagio sociale, e soprattutto avrebbe frenato le tentazioni diffuse di inseguire la Gran Bretagna nell’uscita dal patto di adesione all’Unione Europea. I fatti hanno invece disegnato una realtà diversa, dove non solo le misure comunitarie di stampo sociale sono mai state avviate, ma addirittura è stata intrapresa una svolta bellicista che tradisce, sino a sovvertirli, i principi da cui è nata l’Unione stessa. 

I venti di guerra soffiano sull’Europa intera e sono inarrestabili, poiché sempre più forti. Il decisionismo della Commissaria von der Leyen non permette alcuna apertura diplomatica, mostrando una sorta di spirito emulativo della linea americana in politica estera. A riprova, le recenti dichiarazioni dei Ministri della Difesa europei, i quali, quasi all’unisono, hanno evidenziato la necessità di aumentare la produzione bellica e, al contempo, di incrementare il numero dei soldati a disposizione dei reparti.  Lo stesso Ministro Crosetto non ha escluso la formazione di un esercito composto da riservisti, pronti a dare manforte agli effettivi in caso di attacco esterno, mentre a Palazzo Chigi sono molti a non escludere un possibile ritorno al reclutamento tramite la leva.

I fronti di guerra, in effetti, si ampliano di giorno in giorno rendendo il Medio Oriente e l’Europa dell’Est una colossale polveriera pronta a esplodere: pericolo di cui alla politica pare importi poco. Le dichiarazioni di gran parte dei parlamentari che siedono a Strasburgo abbondano di retorica, poiché si concentrano su improbabili invasioni future, descrivendo scenari in cui il nostro continente si prepara a vivere un’esperienza sul modello dell’assedio di Stalingrado. I governi europei descrivono invece le formazioni militari avversarie mettendole in ridicolo, e contraddicendo in tal modo gli scenari apocalittici narrati dai media occidentali: Hamas, invero, è ridotta a un covo di terroristi; gli Houthi sono indicati quali dispettosi ribelli, mentre la Russia è paragonata ad un’armata Brancaleone malarmata e guidata da un folle dittatore. 

Tutto si riassume quindi nell’anacronistica lotta del Bene (noi) contro il Male (tutti gli altri), facendo intendere che comunque il primo schiaccerà il secondo con estrema facilità: visione messa parzialmente in discussione da chi ha manifestato stupore dinanzi al passaggio sul Mar Rosso privo di difficoltà delle navi containers cinesi e russe.

Una meraviglia che evidentemente non tiene conto del colonialismo di cui, noi “il Bene”, siamo stati artefici per secoli (Italia compresa, seppur per meno tempo), e neppure delle vittime causate, sempre da noi “il Bene”, nel nome dell’impero coloniale (non risparmiando neppure villaggi e resistenti dal gas nervino). Le aggressioni imperialiste, sempre da parte de “il Bene”, non sono mancate neppure negli ultimi decenni, come testimoniano l’America Latina e il Medio Oriente stesso. 

Lo Yemen, ad esempio, prima del crollo dell’URSS, era un Paese diviso in due: Repubblica Popolare dello Yemen Meridionale, sotto l’influenza marxista, e la Repubblica Araba dello Yemen a Nord. In seguito all’unificazione, avvenuta mel 1990, è iniziata una lunga guerra civile che ha contrapposto nuovamente il Sud, controllato dagli insorti sciiti, al Nord, sostenuto dagli Usa tramite l’Arabia Saudita (quest’ultima accusata da Human Rights Watch e da Amnesty International di aver fatto ampio uso di bombe a grappolo, fornite dagli USA, contro i civili). Gli Houthi sono l’ennesimo frutto di guerre fratricide manovrate dall’estero, nonché l’unico esercito organizzato dello Yemen. Allo stesso modo Hamas non è solo un’organizzazione terroristica, ma pure un’entità statale.  In un tale contesto di ipocrisia, difficilmente il summit Italia- Africa sanerà il malessere crescente del Sud del mondo verso il Nord occidentale: le dichiarazioni di alcuni dei partecipanti delusi sembrano confermarlo. 

I falchi (guerrafondai massicciamente presenti anche in Italia) sono determinati a schiantarsi a tutta velocità contro il muro, portandosi dietro i loro compatrioti. È relativamente facile prevedere che comunque i piloti scenderanno in tempo dall’autovettura, pur continuando a gridare “Banzai”, salvandosi, mentre solamente il popolo subirà il duro impatto: della serie “Armiamoci e partite”.

Lo stabilimento di Mirafiori di Torino chiuderà presto, dopo essere stato lottizzato ad arte, ma poco importa. L’industria delle armi gode infatti di ottima salute e promette una forte espansione nel futuro, nonché lavoro per tutti (o quasi), dimostrando soprattutto una grande capacità nel fare pressione (o meglio lobby) su quell’Unione Europea nata per mettere il Vecchio Continente al riparo dalle guerre.

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