Occidente, Cristianesimo e Liberalismo
Vincenzo Olita* 15:19 Martedì 20 Febbraio 2024
No, può sembrare una triade impropria ma non lo è. Occidente e Cristianesimo, hanno rappresentato per questo continente un inscindibile binomio, fondamento della sua Storia e del suo cammino. Il secondo si consolida a partire dal IV secolo con il definitivo tramonto del paganesimo, del primo, inteso come popoli del nord, si ha sentore dopo la vittoria di Carlo Martello a Poitiers nel 732, quando un osservatore arabo definì quelle genti come europei. Certo, anche il socialismo e il comunismo, i regni e gli imperi hanno rappresentato pietre d’angolo nel cammino del nostro macrocosmo, ma altrettanto indubbio è che il primo atto di attenzione per le libertà individuali si concretizza nel 1215 con l’emanazione della Magna Charta Libertatum, secolare linfa per l’implementazione dei diritti naturali.
Ragionando sulle crisi del trinomio, potremmo ricordare Vico e i suoi ricorsi rammendando Odone abbate di Cluny che nei primi decenni del X secolo scriveva: tutto è confuso e sta precipitando, tutto è violenza e disordine, sopraffazione e ingiustizia non c’è più il senso del bene e del male, le cose son tutte fuor di posto. Era la crisi dell’ordine carolingio che ancora seguitava nel 994 considerando che nel concilio di Anse il clero poneva il problema della violenza e delle guerre. Ma sarebbe sbrigativo, superficiale, un paragone con l’oggi, che pur racchiude molte similitudini nella quotidianità. Superato l’anno mille il Basso Medioevo ha cinque secoli di rinascita, una ripresa dell’Impero e della Chiesa, l’affermazione dei Comuni e tant’altro. Per i dieci secoli di Cristianesimo, un futuro complesso e difficile, per le scoperte e gli assetti geopolitici, entusiasmi e speranze, un misto di delusione e fiducia per le libertà.
È lo stesso spirito che oggi si aggira in Occidente? Lo stesso ottimismo per il futuro? Lo stesso sollievo teologico? Lo stesso gaudio per la conquista delle nostre libertà? No! certamente no.
Le nostre comuni tradizioni culturali sono misconosciute e osteggiate da una parodia di nichilismo, da un’ossessiva cultura della cancellazione rivolta al pensiero e all’opera di indiscriminati antenati. Siamo al woke capitalism proiettato non tanto alla produzione e quindi all’incremento di valore e di ricchezza, ma all’attenzione per le disuguaglianze di ogni genere e provenienza, strada maestra per indigenze certe. Ci pervade il fascino del post e del trans umanesimo, provano ad inebriarci, da un versante e ad intimorirci dall’altro, con il nuovo totem dell’intelligenza artificiale, come se fosse l’artificiale, cioè il non umano, ad essere intelligente.
Sarebbe più appropriato ragionare sulla nostra intelligenza in termini di aumento e accrescimento. Ma occorre inaridire radici e fondamenta della comunità occidentale, il cui futuro è del tutto incerto. L’omologazione, il politicamente corretto, la dittatura della maggioranza, teorizzata da Tocqueville che, se amorfa, si configura come una patologia della democrazia, non fanno che incidere anche sulle libertà naturali indirizzandoci verso comportamenti, relazioni, forme e modelli di vita a noi estranee. Con il nuovo secolo la spinta della neo cultura si è intensificata, arricchita ed espansa in tanta parte della politica, dell’informazione, degli organismi istituzionali e dei vertici ecclesiastici che hanno coniugato nuove visioni e vecchie strategie con un globalismo di maniera in cui un vacuo modernismo si adopera affinché passato ed eredità occidentale non rivestano più alcun significato.
Ortega y Gasset nel 1923 scriveva che i secoli moderni sono una crociata contro il cristianesimo, era nel vero e non aveva visto il tempo in cui il pensiero cristiano con la rinuncia, dalla sacralità alla liturgia, ha esiliato la cristianità. La Chiesa esprime opinioni che rincorrono modernismo, cronaca, attualità, confuse con la quotidianità politica, dove una religiosità senza cristianità ci avvicina al tempo in cui – IV secolo – i pagani avvertivano di essere un mondo vecchio e passato, un mondo di ieri. Weber agli albori del XX secolo scriveva che il cristianesimo è il paese del passato e un secolo prima Tocqueville avvertiva dell’avvento del panteismo in Occidente e oggi, tra l’altro, siamo al culto della madre terra. Nella narrazione davossiana tutto si tiene, per il futuro di un mondo resiliente, equo e sostenibile si richiede un riesame del ruolo della morale e dei valori, quindi, siamo al ripensamento non solo del cristianesimo ma delle Confessioni in quanto tali.
E l’Occidente? Inteso come continente europeo, un moloch senz’anima guidato da un europeismo quanto mai distante dalla tradizione europea frutto secolare di culture, visioni e concezioni di comunità identificabili come gente d’Europa. Washington e Bruxelles due centri d’indirizzo e di potere apparentemente in sintonia ma, di fatto e ancor più in futuro, non sulla stessa lunghezza d’onda. L’Occidente avrebbe necessità di un nòmos (Dahrendorf) di una coscienza condivisa capace di esaltare la comunanza ad una civiltà che non potrà reggersi sull’economia e sull’espansione dell’impianto europeista. Nicola Matteucci, al riguardo ha mirabilmente chiarito: “Noi siamo ancora in una fase di transizione, in itinere, per scoprire il nostro nòmos epocale”.
Tralasciando le incurabili criticità dell’Ue, lo spostamento del baricentro politico-strategico del pianeta, vogliamo solo osservare una situazione di cui non è politicamente corretto parlare. I globalisti apolidi Bill Gates e George Soros sono tra i maggiori finanziatori di tante istituzioni e organizzazioni collegate con l’Ue e l’Onu, il secondo sovvenziona anche la Corte penale internazionale, insieme il Consiglio d’Europa e l’Oms. Una situazione che richiederebbe ai poteri politici occidentali una convinta riflessione sull’indipendenza e il futuro di queste istituzioni. E l’inabissato Liberalismo? Con la sua concezione sulla centralità delle libertà personali e di conseguenza sulla preziosità della responsabilità individuale, avrebbe potuto indicare un cammino culturale-politico di concreto e notevole spessore.
In questo scenario Società Libera, associazione di cultura liberale, ritiene di adoperarsi nel contrasto all’opera di cancellazione della nostra storia, della nostra tradizione, della nostra cultura, della nostra religione, promuovendo incontri, convinti con Stuart Mill, che: “Nella nostra epoca il semplice esempio di anticonformismo, il mero rifiuto di piegarsi alla consuetudine è di per sé stesso un servigio”.
Noi avviamo questo servizio, incontrandoci in un presidio silenzioso a Roma, presso la Basilica di Santa Maria del Popolo, in Piazza del Popolo, venerdì 1° marzo alle 19.
*Vincenzo Olita, direttore Società Libera