SANITÀ

I medici di famiglia disertano, coop nelle Case di Comunità

Schillaci (troppo) fiducioso nella risposta dei camici bianchi a operare nelle nuove strutture. Dalla categoria segnali di forte resistenza per questioni di orario e di soldi. La dead line di giugno 2026. Barillà (Smi): "Finirà che verranno date in appalto" con l'impiego dei gettonisti

Medici di famiglia pronti a rispondere alla chiamata del Governo dirigendosi verso le case di comunità felici come i sette nani andando a lavorare? Quella del ministro della Salute Orazio Schillaci più che una convinzione, come ha sostenuto nel corso del Festival della Prevenzione, pare una pia illusione.

Da tempo il fronte della medicina generale è in subbuglio di fronte alla prospettiva di dover dedicare parte dell’orario alle future strutture previste dal Pnrr e uno dei pilastri della tanto annunciata riforma della medicina territoriale. Problemi proprio di orario, da conciliare con quello degli ambulatori e delle visite domiciliari, ma anche logistici legati agli spostamenti per raggiungere la casa di comunità in cui prestare servizio. E poi, non ultimo come sempre, l’aspetto economico con immancabili ulteriori richieste.

Un percorso tutto in salita, con il rischio di traumatiche scivolate. Pur in un approccio ottimistico e speranzoso, nelle parole di Schillaci non è difficile leggere la più che giustificata preoccupazione di trovarsi di fronte a scatole vuote. “Nessun cambiamento reale può avvenire nella sanità italiana se non c'è un coinvolgimento pieno dei medici di base” ha premesso il ministro aggiungendo di essere “certo che i medici di base dovranno dare e daranno un contributo anche nella medicina territoriale. Non è pensabile che noi partiamo con la medicina territoriale, con le case di comunità, e non ci sia un impegno orario dei medici di base, da discutere con loro”. Invece, il rischio sempre più concreto è proprio quello, accentuato dalla carenza di professionisti che riguarda in maniera pesante anche gli stessi medici di famiglia, con numerosi territori scoperti e il massimale degli assistiti superato quasi sempre in deroga ai limiti previsti. Su questo aspetto Schillaci sostiene che "dobbiamo pensare che il vero problema è da oggi fino al 2028, in cui c'è una gobba pensionistica che andrà a incidere molto”. Tempi che incrociano quelli dell’avvio delle case e degli ospedali di comunità fissati entro il giugno 2026, pena la perdita dei finanziamenti del Pnrr.

Con medici di famiglia a dir poco restii a passare parte del loro tempo nelle nuove strutture sul territorio e l’obbligo di far entrare queste ultime in funzione, come si risolverà la questione? Amara, ma non certo lontana dal verosimile la prospettiva che indica Antonio Barillà, segretario per il Piemonte del sindacato dei medici Smi: “Saranno date in gestione alle cooperative”. Per il sindacalista, egli stesso medico di famiglia, “le case di comunità saranno un bluff. A meno che non si voglia cambiare radicalmente l'organizzazione capillare degli ambulatori dei medici di famiglia”. Per Barillà queste strutture “potranno funzionare nelle grandi aree urbane, ma solo se i medici di medicina generale saranno dipendenti. Purtroppo una buona parte degli attuali ambulatori dei medici di medicina generale si trovano in aree a bassa densità abitativa dove gli abitanti sono soprattutto anziani con grandi difficoltà negli spostamenti per raggiungere le future fantomatiche case di comunità dislocate a decine di chilometri di distanza”. 

In Piemonte le case di comunità previste, tra quelle finanziate dal Pnrr e quelle realizzate con i fondi della Regione, dovrebbero essere 91, i cui 18 a Torino dove il cronoprogramma definito dal direttore generale dell’Asl Città di Torino Carlo Picco prevede il completamento con un notevole anticipo rispetto all’estate del 2026. Resta, ovunque, il problema principale, ovvero quello del personale. Se i medici di famiglia deluderanno le traballanti certezze del ministro, facile prevedere un nuovo terreno di conquista e di business per i gettonisti delle coop che già affollano gli ospedali.

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