IL GRANDE FREDDO

Macché inverno, è glaciazione demografica. In meno di vent'anni il Nord si spopolerà

Entro il 2040 la popolazione calerà di 2,3 milioni. Lombardia, Piemonte e Veneto le regioni più colpite. Praticamente è come se sparissero Alessandria, Asti, Cuneo e Vercelli. Le ricadute sul sistema pensionistico e scuola. Meno consumi e investimenti

Senza migrazioni, e senza un’inversione nel trend delle nascite, il Nord Italia è atteso da una “glaciazione” demografica che entro il 2040, tra 17 anni, porterà un saldo negativo rispetto all’attuale di 2,3 milioni di residenti. Si passerà dai 27,4 milioni di abitanti del 2023 a 25,1 milioni. Meno abitanti vorrà dire minore mercato interno, dunque più bassi consumi ma anche investimenti inferiori. È quanto afferma uno studio della Fondazione Nordest, partendo dal record negativo di natalità registrato nel 2023 nel Paese.

Nel Nord-est la riduzione sarò di 939mila persone, nel Nord-ovest di 1,4 milioni, differenza data soprattutto dalla diversa consistenza di partenza (11,6 milioni contro 15,9). La discesa assoluta sarà fin da subito rapida: -143mila unità all’anno nei prossimi sette anni nel Nord Italia; poi si attenua a -133mila nei successivi dieci. La minore discesa nella seconda parte del periodo si spiega tutta con l’ipotesi “eroica” di aumento delle nascite annue; un aumento pari a 11mila unità tra il 2023 e il 2030 e a 23mila tra il 2023 e il 2040. Senza tale aumento e con la natalità inchiodata ai valori dello scorso anno, la discesa accelererebbe ulteriormente e si aggiungerebbero altre 385mila persone alla diminuzione della popolazione del Settentrione. L’incremento della natalità è tutto da verificare: basti pensare che per il 2023 l’Istat un anno e mezzo fa aveva previsto al Nord 183mila nascite, mentre ce ne sono state 174mila. D’altra parte, tutte le passate previsioni demografiche hanno stimato un valore mediano di nati che si è rivelato più elevato di quanto si è effettivamente registrato. La ragione è che si sono state basate sull’assunto che il livello raggiunto dagli indicatori di natalità fosse anormalmente basso e perciò destinato a risalire; un assunto smentito dalle ulteriori diminuzioni.

La caduta della popolazione settentrionale nei prossimi diciassette anni equivale al dimezzamento degli abitanti dell’Emilia-Romagna o del Veneto. Se mettiamo in fila le regioni del Nord in base alla diminuzione assoluta prevista dei residenti, al primo posto c’è la Lombardia, con -673mila, seguita dal Piemonte (-493mila) e dal Veneto (-388mila), il quale precede l’Emilia-Romagna di poco (-386mila). Se usiamo, invece, le variazioni percentuali, il calo maggiore si ha in Liguria (-14,2%), seguita da Friuli-Venezia Giulia e Piemonte (appaiate a -11,6%), Emilia-Romagna (-8,7%), Veneto (-8,0%), Lombardia (-6,7%), Trentino (-3,8%) e Alto Adige (-1,2%).

Con questi numeri si può fare il gioco del “cancella la città”: quante e quali città, grandi o piccole, sparirebbero se la perdita di abitanti fosse concentrata in esse. Qualche esempio. In Piemonte diverrebbero disabitate Alessandria, Asti, Cuneo, Moncalieri, Collegno, Rivoli, Nichelino, Vercelli e Biella. In Lombardia si svuoterebbero Brescia, Monza, Bergamo, Como, Varese e Pavia, cioè il secondo, il terzo, il quarto, il sesto e il nono comune per abitanti della più popolosa regione d’Italia. In Emilia-Romagna si spopolerebbe l’intera Bologna, oppure Parma più Modena.

Nell’ultimo indicatore demografico, l’Istat ha certificato l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Rispetto ai 577mila del 2008, nel 2023 sono venuti al mondo appena 379mila bambini. Nell’anno scolastico 2022/23, gli studenti iscritti all’ultimo anno della scuola secondaria superiore sono stati poco più di 900 mila. Tra appena 18 anni, il nostro Paese potrà avere meno della metà dei diplomati dell’anno scolastico e formativo scorso solo a condizione di azzerare la dispersione scolastica che ancora si attesta a oltre l’11% superiore di almeno due punti percentuali rispetto alla media europea.

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