SANITÀ

Sanità, al Piemonte serve un piano. Dieci anni di fallimenti bipartisan

Né il centrosinistra né il centrodestra hanno svolto il compito fondamentale della Regione: la programmazione. Si naviga a vista da troppo tempo, inseguendo i problemi e spendendo male le ingenti risorse (9 miliardi). Ora non ci sono più alibi

Nove miliardi per far funzionare la sanità piemontese. Pochi? Insufficienti? Probabilmente sì, se si considera il quasi impercettibile incremento delle risorse che il riparto del fondo sanitario ha destinato al Piemonte, rispetto all’anno precedente e a quello prima ancora, senza dimenticare i fondi promessi dall’allora ministro della salute Roberto Speranza a parziale copertura delle enormi spese per l’emergenza Covid e mai arrivati. Ma se questo è ciò che passa il convento, inteso come governo, un problema non meno importante per le ricadute sui servizi ai cittadini è dato dal modo in cui le risorse, già non abbondanti, vengono spese. E per impiegarle al meglio, le risorse, va tradotta in pratica quella che fin dalla loro istituzione nel lontano 1970 è la funzione principale assegnata alle Regioni, ovvero la programmazione. 

Compito che, anno dopo anno decennio dopo decennio, gli enti territoriali sono andati tralasciando, allargando ad altro e spesso sconfinando in maniera bizzarra e incomprensibile in tematiche avulse dal loro ruolo. Con l’inevitabile risultato di trovarsi a navigare a vista in un mare in tempesta, com’è non da oggi la sanità, continuando a tappare falle senza avere una rotta tracciata. Fuor di metafora, quella rotta si chiama piano sociosanitario ed è, o meglio dovrebbe essere, lo strumento principe per governare la sanità, dopo averla programmata in ogni suo aspetto senza lasciare incertezze e aree grigie dove non di rado le articolazioni del sistema sul territorio agiscono in maniera troppo autonoma o, peggio ancora, non agiscono affatto.

Di un nuovo, aggiornato ed efficace, piano sociosanitario il Piemonte ha bisogno ormai da dieci anni e nessuno, di alcun colore politico, può manlevarsi da una responsabilità che, oggi più che mai, pesa sull’efficienza del sistema e di conseguenza sui pazienti. Non può non portare la responsabilità di questo ritardo il Pd e tutto il centrosinistra che neppure ha abbozzato l’avvio di un percorso legislativo in tal senso durante il quinquennio della giunta presieduta da Sergio Chiamparino. Il piano di rientro prima e l’agognata uscita da esso dopo non paiono elementi sufficienti a giustificare uno stallo dell’allora maggioranza in Consiglio regionale circa lo strumento di programmazione. Sostituito e forse addirittura prevaricato dalla famigerata delibera della giunta 1/600 che ha inciso in maniera pesantissima sulla rete ospedaliera e, in particolare, sulla riduzione dei posti letto di cui ancora si pagano gli effetti. Una forzatura, motivata col citato piano di rientro, rispetto a un piano sociosanitario che da essa venne profondamente modificato, senza neppure la preventiva discussione in aula.

La stessa aula che, cambiata la maggioranza, nel corso degli ultimi cinque anni non ha dato alcun cenno di programmazione. Come e più di quanto fu il commissariamento per la giunta Chiamparino, il Covid ha certamente pesato sulla legislatura che ha portato Alberto Cirio e il centrodestra a governare la Regione. Se sarebbe stato oggettivamente impensabile affrontare, insieme all’emergenza (che pure ne ha messo in luce l’inadeguatezza) lo strumento programmatorio, è difficilmente comprensibile come passato il periodo più buio e proprio sulla scorta della drammatica esperienza non si siano, almeno, poste le basi dell’iter legislativo.

L’edilizia sanitaria, così come le strutture previste dal percorso a tappe forzate verso l’attuazione del Pnrr, o ancora la questione del personale, sono state e vengono tuttora giocoforza affrontate aggiustando di giorno in giorno una rotta che non è tracciata e se lo è ormai non corrisponde più alle esigenze attuali e future. Le liste d’attesa, problema assolutamente più grave e priorità assoluta, sono la conferma di quanto pesi l’assenza di una programmazione e del suo necessario rispetto ad ad ogni livello. La gestione della libera professione in regime di intramoenia appare sempre meno rispondente a quanto previsto dalla legge, con medici ospedalieri autorizzati dalle Asl a esercitare in più strutture esterne private e con la norma che prevede il rimborso ai in caso di prenotazioni che vanno oltre il limite fissato dalla prescrizione quasi sempre disattesa e non comunicata ai pazienti. A questo, così come al mancato rispetto della sospensione della stessa intramoenia nel caso in cui le liste d’attesa arrivino a livelli inaccettabili, si è giunti anche perché a una rotta chiara si è sostituita una navigazione a vista. Per non parlare dei gettonisti che, è pur vero rappresentano un problema per tutto il Paese, ma sono anche figli illegittimi e assai costosi di una mancata programmazione. 

Di ieri la notizia del soccorso fornito, con l’invio di alcuni gastroenterologi, dall’Asl Città di Torino a quella di Biella che non era più in grado, per mancanza di personale, di assicurare colonscopie. Ma a fronte di un’Asl, come quella diretta da Carlo Picco, che risponde all’appello della direzione regionale della Sanità, altre aziende con ancora più medici, compresi cattedratici, fanno orecchie da mercante.

Una serie di emergenze che se debbono essere affrontate e possibilmente risolte il più rapidamente possibile confermano ancora di più le necessità di cambiare, altrettanto in fretta, sistema con una Regione che torni ad assolvere il ruolo di programmazione. Le stesse situazioni di forte criticità della sanità non possono diventare ulteriore alibi o giustificazione, ma anzi motivo per la legislatura che uscirà dalle urne il prossimo 9 giugno di mettere il piano sociosanitario quale priorità assoluta. Tanto più viste le previsioni della riduzione del fondo sanitario per gli anni a venire, il Piemonte non può attendere oltre lo strumento per impiegare al meglio le risorse, evitando di tappare falle navigando a vista.

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