SANITÀ

I medici di famiglia si uniscono, ma sono ancora troppo pochi

Il Piemonte prima Regione a siglare l'accordo per le Aft. Superate le divisioni tra sindacati, Cirio incassa la firma prima delle elezioni. Il sistema dovrebbe garantire una maggiore risposta agli assistiti, ma resta la carenza di dottori. Mancano oltre 600 professionisti

Tanto tuonò che piovve. E Alberto Cirio può ballare sotto la pioggia avendo incassato, prima delle elezioni, la firma dei medici di famiglia sul contratto integrativo regionale il cui tormentato percorso ha rischiato fino a ieri di non arrivare alla meta, con la minaccia di tempesta in un fronte sindacale non graniticamente compatto. 

L’ultimo incontro, una decina di giorni, fa non era finito bene. Una sigla sindacale, la Fimmg con il suo segretario regionale Roberto Venesia era pronta a sottoscrivere il testo, le altre due (Snami con Mauro Grosso Ciponte con e Smi guidato da Antonio Barillà) avevano sollevato più di una perplessità e chiesto ancora tempo. In ballo, nell’accordo che lunedì prossimo sarà ratificato dalla giunta regionale, il tema che più ha fatto e farà ancora discutere i camici bianchi del territorio e, soprattutto, che dovrebbe avere maggiore impatto sui cittadini riguarda una sorta di rivoluzione degli studi e dell’attività dei medici di famiglia.

Mentre non sono pochi coloro che ancora si riferiscono a questi ultimi come al dottore della mutua, l’ennesimo acronimo compare nel lessico sanitario. Si tratta delle Aft, ovvero le aggregazioni funzionali territoriali che raggruppando un numero di medici di famiglia della stessa area dovranno fornire una serie di servizi agli assistiti che ora non hanno. Uno per tutti, la copertura per tutto l’arco orario del giorno, in particolare fino alle 20, in cui non opera la guardia medica. 

Sono previste dalla legge nazionale ormai da una decina d’anni e questo la dice lunga sulle difficoltà e le resistenze che ha incontrato questa innovazione che tra i suoi scopi ha anche quello di fornire una risposta più completa alle necessità contribuendo a ridurre sensibilmente di accessi non indispensabili al Pronto Soccorso. Le Aft dovranno aggregare obbligatoriamente i medici di famiglia e quelli che svolgono il servizio di guardia coprendo bacini di un determinato numero di abitanti e, soprattutto, garantire il servizio ai cittadini continuativamente nell’arco delle 24 ore sette giorni su sette. Un cambiamento che stenta ad essere attuato in tutto il Paese e che, almeno sulla carta, dopo la firma di ieri pone in Piemonte in testa rispetto a tutte le regioni nell’attuazione della legge.

Una traduzione in pratica, quella che dovrà avvenire entro l’inizio del prossimo anno, che deve però fare i conti con un problema assai più grande e non risolvibile con documenti e firme: i medici di famiglia in Piemonte sono decisamente insufficienti rispetto alla popolazione. Gli ultimi dati riferiscono di 2.800 professionisti a fronte di una necessità minima di 3.400. Per dare l’idea di cosa significhi questo, basta riprendere la fotografia fornita da un sindacalista della situazione a Novara dove a fronte di  31 posti vacanti ne sono stati coperti soltanto cinque. E forse non è un caso che lo Snami, con il suo segretario regionale abbia fatto mettere a verbale che questo sistema, ovvero le Aft, verrà attuato solo se il numero di medici lo consentirà. Ma anche su questo aspetto le visioni all’interno del mondo sindacale non sono affatto univoche. C’è, infatti chi come la Fimmg sostiene, così come la Regione, che proprio raggruppano i medici sul territorio si riusciranno ad attenuare anche gli effetti della scarsità di professionisti, mentre altri sindacati si mostrano assai più scettici. 

Divergenze e prospettive che, in attesa di vedere la messa a terra della riforma, restano fuori dalla nota congiunta dei sindacati al termine dell’incontro al grattacielo. “Le Aft potranno esprimere le loro potenzialità in tema di prevenzione, vaccinazioni, presa in carico della cronicità, diagnostica di primo livello e sviluppo delle cure domiciliari”, scrivono i sindacati, che aggiungono come “attraverso il cosiddetto ruolo unico, inoltre, i medici che fino ad oggi erano relegati ad esclusiva attività di guardia medica notturna e festiva, svolgeranno attività anche di giorno durante la settimana a supporto dei medici di famiglia per integrare la continuità dell’assistenza nonché le attività di prevenzione e presa in carico della cronicità”. 

Quello che per il governatore Cirio è “il primo passo concreto nella costruzione della medicina territoriale piemontese”, sarà anche il banco di prova da qui alla fine dell’anno per vedere la risposta di un settore cruciale per la salute qual è la medicina territoriale e, in particolare, i medici di famiglia. 

Un aspetto non trascurabile per la traduzione in pratica di quanto previsto dalla legge e concordato ieri riguarda proprio la costruzione delle aggregazioni tra professionisti dello stesso ambito territoriale. I medici pare avrebbero voluto gestire in piena autonomia questo processo, ma a quanto risulta sarà il sistema pubblico, attraverso le Asl, a governare la nascita e guidare la messa in funzione delle Ast, con la classica formula della “piena collaborazione”. Ma toccherà ai cittadini, al prossimo anno anche se l’auspicio è quello di anticipare la scadenza di legge, verificare se questo cambiamento darà le risposte attese da tempo, anche troppo. 

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