Un patrimonio per pochi

I beni comuni, definiti tali poiché appartenenti a tutta la comunità, devono difendersi di continuo da devastanti attacchi portati contemporaneamente su più fronti. Spiagge, aree demaniali, edifici, foreste, parchi raffigurano un’ottima occasione di saccheggio per chiunque voglia fare profitto senza esporsi troppo finanziariamente.

Da tempo il Pubblico si è sottratto dalla gestione diretta del suo patrimonio, rinunciando sia a riempire le proprie casse che a fornire servizi affidabili ai propri cittadini. Le prime concessioni statali, risalenti agli anni ’90, vennero improntate sulla valorizzazione del patrimonio collettivo, e all’epoca i beneficiari (individuati tramite bando) furono soprattutto associazioni onlus (vere) che, con i propri volontari, valorizzarono le risorse assegnate loro tramite attività non condizionate da qualsiasi forma di profitto.

Con il passare degli anni le istituzioni hanno infine messo i servizi alla persona nelle mani dei privati, fornendo immobili e finanziamenti a terzi per rispondere alle richieste sociali provenienti dal territorio: esigenze essenziali che il Pubblico, sempre più affascinato dall’ideologia iper neoliberista, non ha più voluto prendere in carico. Il disinteresse da parte dei settori statali (e non solo) nei riguardi delle attività gestite “in house” si è intensificato sempre più, sino ad attuare una vera e propria esternalizzazione “globale”, sottratta (giorno dopo giorno) da qualsiasi controllo gestionale da parte del concedente.

La cittadinanza deve combattere quotidianamente per salvaguardare quanto è rimasto ancora nelle mani della propria comunità, assistendo a una devastazione continua del patrimonio pubblico da cui si salvano solamente i beni non golosi per chi si dedica al business. Scompaiono di conseguenza le spiagge, sempre meno libere e dai costi di accesso decisamente antipopolari; si riducono i parchi pubblici, assoggettati a strane servitù compresa quella ospedaliera della Pellerina, e spariscono anche le aree verdi urbane sacrificate nel nome dei parcheggi pertinenziali. Le piazze e le vie del centro si riempiono di dehors, a tal punto da impedire il passaggio dei pedoni, così come vengono alienati edifici storici di pregio, ex sedi istituzionali, con lo scopo di sostenere la ricca speculazione immobiliare.

Alle privatizzazioni visibili se ne affiancano tante “celate”, che vengono realizzate nelle pieghe della normale attività amministrativa, soprattutto quella circoscrizionale. I quartieri, tanti all’inizio e pochi oggi, assegnano contributi e locali a chi ne faccia richiesta in seguito alla pubblicazione di “Linee guida”. È invero sufficiente votare una delibera all’anno in Consiglio per elargire fondi a chiunque presenti domanda, e approvarne una ad inizio mandato per assegnare locali senza dover sottostare a ulteriori “fastidiosi” passaggi consiliari. 

La politica, soprattutto quella legata ai territori, si limita a sfornare consiglieri-passacarte e giustifica le scelte amministrative con la solita frase “Ce lo impone il Regolamento”. Le opzioni individuate dalle giunte diventano sempre le uniche possibili, ma raramente puntano alla soddisfazione del benessere collettivo, nonché al dialogo con le minoranze.   

Evaporano in un attimo corposi contributi sulla base della distribuzione a pioggia (sul modello “chiedete e vi sarà dato”) e allo stesso modo sparisce l’utilità pubblica legata ai locali circoscrizionali e agli impianti sportivi comunali. Immobili concessi, a volte per decenni, tramite atti che comprendono il rimborso pubblico delle utenze (sino all’80% del costo) a concessionari non sempre disponibili nell’osservare i doveri inclusi nell’atto concessorio, sottoscritto con l’assessorato competente.

I paradossi diventano imbarazzanti sia per chi amministra, credendo ancora di lavorare per cittadine e cittadini, e sia per chi necessita di un aiuto (un sostegno) che solitamente non trova riscontro a causa di un patrimonio Pubblico interdetto proprio nei confronti di chi è portatore di una vera istanza sociale: beni sottratti alla disponibilità collettiva per non limitare il potenziale di affari di chi li gestisce.

Vengono affidati locali senza controllo alcuno in merito al loro uso, e neppure valutando la reale ricaduta a favore della cittadinanza di quanto stabilito nell’atto concessorio: le concessioni degli impianti sportivi impediscono ai proprietari (i torinesi in questo caso) di accedervi se non dietro a esorbitanti pagamenti tariffari e intestazioni obbligatorie di tessere. 

Un tempo si sarebbe gridato all’ingiustizia sociale, oggi invece la politica si giustifica dietro a un “Non possiamo fare altro”: la beffa include così un ulteriore dato di fatto, riguardante il pagamento da parte del Pubblico delle bollette di luce e gas (scaldare una piscina è costoso, così come illuminare un campo da calcio) a favore dei gestori degli impianti comunali.  Anni fa un record: 12 mila euro di rimborso mensile per consumo energia elettrica a vantaggio del direttivo di una bocciofila, i cui responsabili si giustificarono affermando che “avevano un frigorifero difettoso”.

Esistono certamente altre strade, oltre a quella di arrendersi agli speculatori (nel momento in cui si favoriscono gli affaristi) abbandonando i cittadini a sé stessi: percorsi che è ora di affrontare con sana energia. 

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