La "difesa" di Messina Denaro

Lo scorso 16 gennaio, dopo quasi trent’anni di latitanza, Matteo Messina Denaro, condannato e ricercato per svariati crimini mafiosi, è stato arrestato in una clinica privata a Palermo dove era in procinto di effettuare una seduta di chemioterapia alla quale era sottoposto periodicamente a causa di un tumore. Nel 1989, all’età di 27 anni, Matteo Messina Denaro fu denunciato per associazione mafiosa. In seguito, nel 1991, lo si ritenne responsabile dell’omicidio di Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina. Nel 1992 fu accusato di fare parte di un gruppo di fuoco inviato a Roma per effettuare appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo e per uccidere sia Giovanni Falcone sia il ministro Claudio Martelli. Sempre nel 1992 fu ritenuto uno degli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, e della sua compagna. Nel 1993 fu emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori: da quel momento iniziò la lunga latitanza di Matteo Messina Denaro.

Nel 2000 al maxiprocesso Omega, che riguardava le stragi trapanesi consumatesi dagli anni Ottanta in poi, venne condannato in contumacia all’ergastolo. Il 21 ottobre 2020 venne condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, sempre in contumacia, per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui vennero uccisi i giudici Falcone e Borsellino e le loro scorte. Matteo Messina Denaro, non avendo mai partecipato ai processi in quanto latitante, è sempre stato rappresentato da un difensore d’ufficio.

Davanti alla polizia del carcere di massima sicurezza in cui è stato rinchiuso ha detto: “Fino a oggi ero incensurato. Poi stamani mi hanno arrestato e adesso sono qui. Ma prima non ho mai avuto a che fare con la giustizia”. Poi a uno scambio di battute con gli agenti che gli dicono: “Esiste una giustizia divina e una giustizia terrena”, lui risponde: “Ci rifletterò”.

Il processo in contumacia è un problema trattato fin dai tempi antichi: i Romani, per esempio, non procedevano ad alcuna condanna prima di aver avuto un confronto diretto tra accusatore e imputato con possibilità, da parte di quest’ultimo, di contestare il crimine. L’ordinamento italiano è l’unico che ammette il procedimento in contumacia per ogni tipo di reato; infatti, la partecipazione dell’imputato al dibattimento costituisce una sua scelta: l’imputato “può” ma non “deve” comparire in giudizio e, nel caso sia assente, la sua presenza è rappresentata dal suo difensore, di fiducia o d’ufficio, che comunque deve essere presente in aula in quanto in Italia l’imputato non può difendersi personalmente ma solo attraverso degli avvocati. La sentenza di condanna pronunciata in contumacia, inoltre, è irrevocabile ed eseguibile, senza la celebrazione di un nuovo giudizio durante il quale l’imputato, riapparso, possa essere ascoltato. Per questa “negazione di giustizia” la Corte europea di Strasburgo ha accusato il sistema penale italiano per violazione dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ma, poiché non vi sono norme che prescrivano la revisione o la riapertura del procedimento qualora vi sia una denuncia di violazione delle norme della Cedu da parte della Corte europea, l’Italia continua ad essere in difetto.

In alcuni paesi europei i processi in contumacia non sono ammessi, in altri sono ammessi solo per reati meno gravi e in tutti i casi il contumace ha diritto ad un nuovo giudizio, annullando totalmente la sentenza del processo in contumacia, nel momento in cui viene catturato o si renda reperibile. È quindi chiaro che i rapporti fra Italia ed il resto d’Europa si complicano soprattutto quando si chiedono procedimenti di estradizione con istanza di consegna del ricercato sulla base di una sentenza in contumacia pronunciata da un giudice italiano. Per esempio, la Gran Bretagna riconosce al magistrato britannico la facoltà di rifiutare discrezionalmente la richiesta di estradizione, proposta dallo Stato italiano, se ritiene che la consegna non sia conforme all’interesse della giustizia. Sostenere l’innocenza di una persona con una vita sempre irreprensibile è facile, ma uno Stato di diritto ci impone, con un dibattimento processuale dove accusa e difesa siano trattate pariteticamente, di essere garantisti sino a sentenze passate in giudicato e nei confronti di tutti i cittadini senza distinzione alcuna, anche nei confronti di Matteo Messina Denaro che, presumibilmente, non ha avuto una vita irreprensibile e che, probabilmente, ha commesso molti delitti.

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