Le sfide (e le incognite) della Schlein

La vittoria di Schlein può o meno far piacere, ma c’è un dato interessante da analizzare per comprendere meglio quale sarà il futuro del Partito Democratico: sfavorita dagli iscritti, La Schlein ha vinto col favore degli elettori. Questa tensione tra insider ed outsider, iscritto ed elettore, è sempre stata una costante nel Pd, ma in queste primarie rischia di toccare l’apice, dato lo schieramento di numerosi circoli e dirigenti locali (si veda il caso piemontese) dalla parte del candidato perdente nel corso delle primarie interne. Una simile scollatura, ingente se si pensa che la vittoria di Bonaccini era data per scontata da quasi tutte le case sondaggistiche, dona a Schlein una carica (limitatamente) plebiscitaria, una legittimazione di popolo, un lontano ricordo dell’ambizione veltroniana di fare del segretario del Partito un Napoleone in erba, privo di corpi intermedi nel suo cammino, ambizione quest’ultima che difficilmente la Schlein maturerà.

In altri termini, un segretario legittimato dagli elettori è, senza scomodare Sonnino, un ritorno allo Statuto del Partito elaborato sotto l’attenta supervisione di Sebastiano Vassallo, che caratterizzava la struttura interna dem come un potere centralizzato di segretario, direzione ed assemblea, con le ultime due saldamente sotto il controllo del primo ed insieme legittimate dalle primarie, momento catartico di massa. I rapporti interni nel Pd non hanno tuttavia mai permesso che questa struttura potesse dispiegarsi e, sebbene molto depotenziate a livello di disposizioni statutarie, le correnti hanno invece imperversato libere, mentre la legittimazione popolare del segretario è andata a farsi benedire: Letta stesso non è mai passato per i gazebo.

Avere un segretario popolarmente legittimato per il Pd è un toccasana, anche se non si sa quanti nel Pd sarebbero davvero contenti se Schlein assumesse una leadership forte e plebiscitaria: l’ultimo che ci provò, Matteo Renzi, non ebbe proprio una vita facile. È molto più probabile che la Schlein, proprio in virtù della mancanza di supporto degli iscritti (ma non delle correnti), cerchi legittimamente una soluzione di compromesso con questi, specie al Sud, senza slanciarsi in proclami vetero-rottamatori o che. La vera sfida riformatrice, ossia una applicazione finalmente veritiera dello Statuto del partito stesso, apprezzabile in maniera trasversale, potrebbe essere nuovamente disattesa ed il ruolo da designatore dei re, oggi delle regine, dell’elettorato essere relegato solo al momento delle Primarie.

Riprendendo il discorso del politologo Floridia, il Partito Democratico si può dire essere nato “sbagliato”, aver avuto cioè una struttura organizzativa troppo vagamente descritta sulla carta e molto intricata nella realtà. La vera matassa per Schlein sarà decidere una volta per tutte se fare del Pd un partito pesante, doroteo, o ripescare quello spirito di semplificazione delle strutture e accentramento del potere interno che, a scapito ahimè del dialogo, rende un partito governabile. Lo vada a chiedere al suo amico Giuseppe.

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