Era un giovedì, il 5 marzo 2020

Era un giovedì il 5 marzo del 2020. A mezzogiorno preciso chiuderanno le Rsa. Ultime ore, ultimi minuti... minuti concitati, Sono con papà, un panico profondo: il panico della separazione, il panico di chi ha già capito. Il panico razionale di cercare in poche ore di far tutto, di organizzare, di pianificare la mia assenza. Che a nulla serve. Siamo in tanti, in quei giorni, siamo in tanti in questi giorni in silenzio, sospirando, guardando fuori, guardando un muro. Oggi.

Oggi iniziava il delirio di chi ha vissuto questa separazione dolorosa, definitiva, senza un minimo di… Lo scrivo per mio padre, perché mi vergogno. Noi ci vergogniamo come figli “ingrati”? E così non passa, il meccanismo nel cervello è fermo, incagliato. Lo scrivo perché sono ubriaca di leggere “l’abbandono”. Fu una giornata, ripeto, piena di panico assoluto. Arriverà il 18 marzo... E alla fine il 27. Io come altre persone fui trattata molto male, un’offesa indelebile. Qui il covid non c’entra... Peggio.

Le ho già scritte e riscritte queste parole, ma lo devo fare ancora, ancora e ancora. Ultime ore di panico razionale. A mezzogiorno uscirò da lì e comincerò a girare ovunque, telefonando, correndo, andando ovunque. Ho già capito tutto, purtroppo ho questo dannato dono di vedere! Vedo preparare con cura il foglio che sarà posto sui cancelli che a mezzogiorno chiuderanno e che qualcuno arrivando dopo se lo troverà sbattuto in faccia, come uno sberlone pieno di “tutto”. Vedo un’estrema tranquillità in chi prepara il foglio, nel mio panico mentre pianifico colgo questa tranquillità il gelo di chi pensa che essendo impanicata non colga la gioia. Era un giovedì il 5 marzo del 2020.

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