VERSO IL 2019

Alleanza per il Piemonte, "Sì del Pd a Chiamparino"

Marino, probabile futuro segretario regionale, condivide la proposta del governatore: alle elezioni un fronte dal tratto civico, con i partiti un passo indietro. E anche il simbolo "non è un tabù". Allargare il campo e innovare la proposta programmatica

"La definizione, data da Sergio Chiamparino, di Piemonte del sì a chi chiede serietà e responsabilità, non solo mi vede completamente d’accordo, ma trovo questo concetto addirittura affascinante”. Non del tutto alle spalle, ma due passi indietro e pure di lato, le travagliate e convulse dinamiche che connotano il percorso congressuale per il prossimo inquilino del Nazareno, Mauro Maria Marino plaude e abbraccia appieno la linea ribadita ancora ieri dal presidente della Regione sulla questione Tav, ma non di meno su quello sviluppo e quella crescita di cui la Torino-Lione è parte concreta e simbolo.

Il senatore dem non parla da segretario regionale in pectore, un po’ per quella dose minima di scaramanzia dovuta e un po’ per un understatement altrettanto d’obbligo. Ma che la sua sia una strada in discesa verso il posto occupato fino a poco meno di un anno fa da Davide Gariglio lo lascia supporre il vasto schieramento a supporto nella contesa con l’esponente della sinistra Paolo Furia e l'esponente vicina al deputato Stefano Lepri, Monica Canalis.

Quindi senatore Marino proprio le piace questa definizione, che ormai pare quasi un brand e magari lo sarà, data da Chiamparino. Solo una genialata comunicativa o anche altro?
“Assolutamente molto di più. Con grande lungimiranza Sergio sta intercettando la domanda positiva e propositiva non solo del Piemonte, ma del Paese. E questo mentre dall’altra parte abbiamo chi gioca malamente allo sfascio e non riesce ad avanzare un’idea”.

Lei corre per fare il segretario regionale del Pd. I travagli dei mesi scorsi sono noti, così come la sua e non solo sua convinzione che meglio sarebbe stata una candidatura unitaria, ma le cose sono andate diversamente. Domenica si voterà alle primarie. Poniamo lei diventi segretario, in un momento non certo semplice e con le regionali tra pochi mesi, quale il primo compito del partito che si appresta a guidare?
"Il primo obiettivo del Pd deve essere quello di far vincere Chiamparino. Ha ben governato, ma questo non basta”.

Quindi?
“Quindi non possiamo limitarci allo storytelling, dobbiamo avere il coraggio di dare il senso della vision. La rielezione di Sergio e la riconferma del suo buongoverno è il primo obiettivo che si deve porre il Pd, però deve anche capire come può contribuire a questa riconferma”.

Roba da niente. Perdoni il sarcasmo, ma anche il realismo. Pare che il Pd ancora non abbia capito perchè ha perso un filotto di elezioni e comprendere come vincerle sembra una missione impossibile.
“Sull’analisi delle sconfitte è vero. E io adesso nel mio piccolo cerco di farlo, lo ritengo indispensabile. Il ruolo del partito è e resta fondamentale: raccoglie le istanze degli iscritti, dai circoli alle federazioni provinciali con sintesi regionale. Io in questi giorni ho girato come la Madonna Pellegrina e ho trovato tanta gente che voleva dire quello che pensava, che ha idee, voglia di dare il suo contributo. Tant’è che la mia è una mozione, ovviamente, depositata, ma che si sta implementando in maniera da poterla trasformare in un contributo programmatico che il partito offre al candidato presidente”.

Entrando nel concreto?
“Non si va da nessuna parte se non si guarda innanzitutto alla geografia: la nostra è una regione policentrica, con il Nord Est che tende a guardare alla Lombardia più come suggestione che in concreto come ha dimostrato il recente referendum nel Verbano-Cusio-Ossola, però lì funziona il tessuto delle Pmi che sono riuscite a tornare a livelli prima della crisi, eccetto che nella parte montana. Poi c’è il Cuneese un’enclave felice con il portato dell’industria alimentare e della piattaforma enogastronomica delle Langhe. E poi c’è il Sud Est, l’Astigiano e l’Alessandrino, una rete di relazioni di scambi, il retroporto ligure. Sono quei Piemonti che bene ha descritto e analizzato Cristina Bargero nel suo recente saggio e tante volte sono stati evocati giustamente da Chiamparino, ma è anche la geografia sempre più spesso specchio del disagio, delle diseguaglianze economiche che poi alimentano il populismo nelle democrazie occidentali, come testimonia dalla Brexit invocata e votata nelle aree meno urbanizzate e alla rivolta dei gilet gialli nata ed esplosa nella Francia rurale”.

Gli  stessi Piemonti che tradotti nelle dinamiche del Pd diventano il Piemonte 2, quello delle province che reclamano meno torinocentrismo, anche nella gestione del partito. Un’altra gatta da pelare per lei, torinese?
“No, un problema che esiste, va affrontato e risolto. Sia nell’ambito dell’organizzazione del Pd sia, soprattutto, per lo sviluppo del Piemonte. Per quanto riguarda il partito, se sarò eletto valorizzerò l’espressione del Piemonte 2, un atto dovuto, ma anche il frutto di un’analisi: si vince quando si riequilibra il rapporto tra le aree. Per quanto concerne la regione, va premesso che siamo passati dal vecchio trinagolo GeMiTo al 7 italiano, immagine composta unendo Torino a Milano, Bologna, Firenze e Roma, ma il problema è che Torino è alla fine di quel 7. O ci rimettiamo in collegamento con lo sviluppo non andiamo da nessuna parte”.

Ovviamente partendo dalla Tav.
“Ovviamente sì Tav, ma non solo: dobbiamo anche ragionare in relazione alla Genova-Rotterdam. L’analisi sulla geografia del disagio è importante, ma servono proposte, come la riqualificazione della manodopera. Tutti parlano di infrastrutture, ma sono di due tipi, quelle materiali come la Tav, il Terzo Valico, l’Asti-Cuneo e poi quelle immateriali come la formazione, tutto quel che ruota attorno l’industria 4 0, il superamento delle differenze nei collegamenti telematici. Bisogna investire nelle aree marginali e periferiche non con spirito caritatevole di risarcimento, ma come investimento”.

Torniamo al Pd. Senta, lei è spesso definito un fedelissimo boschiano. Le dà fastidio?
“Ma questa è una narrazione di alcuni avversari. Della mia candidatura Maria Elena Boschi non ne sapeva nulla e quando c’è stata una riunione con dirigenti nazionali lei neppure c’era”.

Di sicuro la Boschi giocava ancora con la Barbie quando lei entrava in Comune con Valentino Castellani e Alleanza per Torino. Molti vedono in quell’esperienza un possibile modello per il centrosinistra alle prossime regionali. È d’accordo?
“Io e Chiamparino abbiamo sperimentato all’epoca il nostro rapporto. Io ero uno dei fondatori di Alleanza per Torino e lui fece un’operazione difficilissima: portò in una scommessa il Pds a candidarsi e ottenere il peggior risultato in assoluto, ma permettendo alla coalizione di vincere aprendo un percorso felice per la città. Sergio con molto coraggio sperimentò sulla sua pelle questa scelta e io penso che noi dovremo avere lo stesso coraggio nel valutare la cosa migliore per fare sì che Chiamparino vinca. Se sarò segretario sarò disponibile, qualora occorra, a che non si sia da meno rispetto a quello che fece lui in quella circostanza”.

La possibilità di una competizione elettorale anche senza il simbolo del Pd la spaventa?
“Il problema del Pd non è tanto quello del brand, ma quello del contributo programmatico che dà, delle idee, dei militanti. Ribadisco, il Pd non è un tabù, ma non può nemmeno essere una bad company. Può essere un valore aggiunto. E poi ricordo che all’epoca di Alleanza per Torino il Pds all’epoca aveva il suo simbolo”.

L’ipotesi di un fronte ampio, magari molto civico, un rassemblement come quello che pare sempre più ipotizzare Chiamparino come lo vedrebbe da segretario?
“Per la prospettiva del Pd faccio riferimento alle mie radici uliviste, al centrosinistra senza trattino. Anzi in questo momento di crisi vedo un’opportunità enorme per provare e rigiocarci quella partita. E sono orgoglioso di avere il sostegno di componenti diverse del partito e di questo le ringrazio”.

Lei era in piazza per dire sì alla Tav e poi alle Ogr ad ascoltare i mondi delle imprese.
“E dico che non possiamo non ascoltare e riflettere su quello che ci dicono coloro che rappresentano il 65% del Pil. Abbiamo un Governo che in sei mesi ci sta portando a un passo dalla recessione, che si è messo in scontro con l’area produttiva del Paese, ha aperto un conflitto con l’Europa dal quale sta tornando indietro con la coda tra le gambe, una sindaca di Torino che coltiva la decrescita. Tutti a dire no”.

E Chiamparino che dice sì Piemonte.
“Un messaggio affascinante, ma soprattutto giusto e concreto”.

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