ECONOMIA DOMESTICA

"Un fronte del lavoro per rilanciare il Piemonte"

Il leader di Federmeccanica Dal Poz boccia la politica economica e industriale del Governo: "Ci stiamo giocando il futuro delle imprese e di tutto il Paese". E sul rischio di tagli agli investimenti di Fca consiglia di allargare l'orizzonte a tutto il mercato globale

L’ultima manifestazione unitaria di Cgil,Cisl Uil, prima di quella di ieri che ha radunato quasi 200mila persone a Roma era stata nel 2013. Ma non si trova memoria di una partecipazione di Confindustria (sia pure territoriale, quella romagnola per la questione trivelle) alla piazza dei sindacati. È stata la prima volta. Molti giurano che – con questo Governo che litiga con la Francia mettendo a rischio rapporti commerciali e joint-ventures, taglia i fondi per l’alternanza scuola-lavoro, emana un contestato decreto dignità e ancora tiene fermi i lavori della Tav che i Cinquestelle promettono non si farà – non sarà neppure l’ultima.

Presidente Alberto Dal Poz, lei guida Federmeccanica dal giugno del 2017 dopo aver presieduto l’Associazione delle imprese meccaniche e meccatroniche della provincia di Torino ed essere stato vicepresidente dell’Unione Industriale. Che effetto le ha fatto vedere Confidustria in piazza con i sindacati?
“Mi creda, non sono stupito né come imprenditore, né come presidente di Federmeccanica. Sono due anni e mezzo dalla firma del contratto di lavoro della meccanica che s’è capito come l’unica strada per far funzionare un contratto complesso e innovativo come il nostro serva una coesione di veduta: la centralità del lavoro, dell’industria, del lavoratore e dell’imprenditore. Tutti seduti al tavolo, ciascuno al proprio posto com’è giusto che sia, ma con quel tavolo indirizzato in una direzione ben precisa e condivisa: quella dello sviluppo e della crescita”.

Un tempo si sarebbe detto padroni e lavoratori insieme contro il Governo. Cambiando le definizioni, il senso resta quello? 
“È un fatto che ci si è trovati in una situazione in cui il Governo non ha ascoltato nessuno. Prendiamo il decreto dignità: è stato visto con sospetto da gran parte del sindacato fin dall’inizio. E questo perché si è percepita la minaccia che gravava su una parte di contratti a tempo determinato. Nessuno vuole la precarietà, ma la flessibilità in alcuni contesti e situazioni è indispensabile. Il risultato ottenuto dal Governo è l’opposto di quello con cui è stata annunciata la norma. Ripeto: sindacati e imprenditori, guardando verso lo sviluppo, si sono visti totalmente inascoltati e addirittura ostacolati dal Governo dal quale, attraverso alcuni suoi esponenti, sono arrivate anche minacce di tagli alle pensioni dei sindacalisti”.

Scusi, presidente, ma adesso lei che è il numero uno degli imprenditori metalmeccanici difende i sindacalisti? I rappresentanti della classe operaia mandati in paradiso dai padroni?
“Io dico se sono da abbassare delle pensioni non corrette lo si faccia senza sbandierarlo, altrimenti così mi pare una ritorsione. Questo indica il clima in cui si risponde a critiche e osservazioni con minacce. È la dimostrazione che si stanno perdendo riferimenti all’interno dei quali com’è giusto che la politica dica la sua, non può farlo esimendosi dal confronto operativo e concreto con chi si occupa di quei temi. È un gravissimo limite per un Paese”.

Il Governo se la prende, oltre che con i sindacalisti, nientemeno che con la Francia. Quanto è pericolosa per l’economia del Paese e di quelle regioni frontaliere come il Piemonte questa linea imboccata da Lega e Cinquestelle contro Macron?
“Per dire quanto siano alti i rischi cui andiamo incontro basterebbe un solo dato: la Francia è il secondo mercato, dopo la Germania, per l’industria metalmeccanica italiana. Il 52% di tutto il Pil esportato dall’Italia e metalmeccanico, facile immaginare il peso delle esportazioni verso Oltralpe. Grandissime aziende francesi hanno interessi in Italia e moltissime aziende italiane collaborano in modo strettissimo con colossi francesi. Guardiamo anche solo a Torino: dall’Altec, al settore dell’aerospazio con Leonardo, e poi Michelin. Sa quante telefonate ho ricevuto in questi giorni da clienti tedeschi, giapponesi, americani e ovviamente anche francesi che mi chiedono come mai si è arrivati a questi scontro? Il pericolo di un isolamento per l’Italia c’è, e il rischio reputazionale è difficilissimo da quantificare. Insomma, ci mancavo solo più mettersi a litigare con la Francia”.

Intanto il ceo di Fca Michael Manley ha annunciato che per i cinque miliardi di investimenti in tre anni previsti per l’Italia bisognerà valutare l’impatto della ecotassa e delle altre misure disposte dal Governo.
Ricordo che l’Italia per il gruppo Fca vale circa il 10% di vetture vendute, 5% del fatturato. È evidente che dobbiamo essere molto attenti perché queste ragioni di mercato possono essere addirittura maggiormente  determinanti rispetto all’ecotassa. Siamo più preoccupati di vedere un Paese che se si inchioda sul mercato. Osservo, tuttavia come Il Gruppo Wolkswagen ha annunciato 15 miliardi di investimenti e rappresenta un cliente importantissimo per la nostra filiera anche e soprattutto in Piemonte. Per questo  dobbiamo continuare ad essere altamente attrattivi per l’alta tecnologia. Tornando a Fca, gli investimenti hanno riguardato Maserati, Stelvio, vetture di alta gamma. Per questo è molto più preoccupante un calo di ordinativi di Maserati dalla Cina che non dall’Italia”.

All’orizzonte si profilano i dazi sulle importazioni di automobili che gli Stati Uniti sono pronti a imporre. Un’altra mazzata. Lei come pensa sia possibile assorbire, almeno in parte, il colpo?
“Come Italia non possiamo fare niente, saremo spettatori. Ma è indispensabile tenere altissima l’attenzione in modo da poter prendere contromisure in tempi rapidissimi. Nel caso si dovesse presentare uno scenario in cui le nostre filiere soffrissero moltissimo, a maggior ragione è necessario sostenerle con politiche industriali. Vedere le sceneggiate di questi giorni non è certo confortante. La decisione per le auto prodotte fuori dagli Usa sarà motivata con la minaccia alla sicurezza nazionale e le azioni saranno rapidissime. Jeep è il più grande esportatore di vetture Usa verso l’Europa, mentre dall’Europa verso gli Usa il problema toccherebbe moltissimo le case tedesche. E questo significherebbe una perdita di posti di lavoro incalcolabile per l’Europa e per noi: quelle industrie sono il primo bacino di sbocco della produzione metalmeccanica italiana che in Piemonte ha la sua filiera importantissima e solida. Chi ci governa sarà in grado di contrastare in qualche modo questo rischio? Il che non significa dire a Trump di non farlo, ma individuare contromisure per salvaguardare quegli imprenditori che dopo anni di legame con la Fiat, sono andati a cercare sbocchi all’estero trovandoli. Salvaguardare le imprese significa salvaguardare post di lavoro”.

Presidente Dal Poz, premesso che i poteri di un ente come la Regione in un quadro europeo e globale sono limitati, qual è il suo giudizio sul governo regionale sul fronte dell’attrazione di investimenti e nell’impegno per lo sviluppo di un territorio che negli anni ha perso una storica leadership?
“La Regione ha dimostrato un grande attivismo dal punto di vista del supporto ai soggetti, soprattutto esteri, intenzionati ad investire. Recentemente ho assistito a momenti di confronto tra multinazionali estere e la Regione che si è mossa con una velocità fulminea. Questo dinamismo ci rassicura, unito al fatto che il Piemonte ha una rete di competenze, un rapporto con i centri di ricerca e le università, una specializzazione che nessun Movimento Cinquestelle di turno può pensare di portarci via. È un qualcosa su cui si sono fondate generazioni di lavoratori, di imprenditori, di professori”.

Però i Cinquestelle al Governo hanno tagliato l’alternanza scuola-lavoro.
“Lo dico con amarezza: non mi è piaciuto per niente fare una cosa a cui come Federmeccanica non siamo abituati: lanciare una petizione su change.org per cercare di rivendicare la validità dell’alternanza scuola lavoro, la centralità di questo strumento fondamentale per avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro. Tagliato a metà perché lo si accusa di essere un mezzo per sfruttare i giovani. Assurdo”.

Superfluo chiedere a lei sulle ragioni del sì alla Tav, piuttosto cosa ne pensa della manfrina del Governo circa una decisione definitiva?
“Ho letto di una Tav low cost che non contemplerebbe la stazione intermodale di Susa, evitando il nodo di scambio con Sito. Ma stiamo scherzando? Lo scambio intermodale è tutto. Sarebbe una follia bypassare Orbassano. E si rendono conto di cosa potrebbe essere una stazione a Susa per il turismo delle valli? Immaginare una Tav low cost per motivazioni politiche sarebbe un enorme errore strategico il cui prezzo si pagherebbe con un pesantissimo freno allo sviluppo del Paese e, soprattutto, del Piemonte”.  

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