URNE PIEMONTESI

Regionali, Pd mai così male nonostante Chiamparino

Dall'analisi del voto dell'Istituto Cattaneo emerge il contributo del candidato governatore, più forte della sua coalizione. L'esatto opposto di Cirio. Astensionismo a livelli record. La débâcle del M5s impone una riorganizzazione territoriale

Il candidato del centrosinistra alle ultime elezioni regionali in Piemonte, Sergio Chiamparino, è andato meglio della sua coalizione: con il suo 35,8% ha superato di 2,5 punti percentuali le forze politiche che lo hanno sostenuto. E il suo partito, il Pd, non è mai caduto così in «basso nella storia dei democratici in Piemonte». È quanto afferma l’Istituto Cattaneo che, nella sua analisi del voto, sottolinea come nel centrodestra sia accaduto esattamente l’opposto: la coalizione ha preso più voti del candidato, Alberto Cirio. «Rispetto al 2014 – rileva l’istituto – il centrosinistra ha perso 292.302 voti, passando dal 47,8% al 33,3%. Tale arretramento ha riguardato in particolare il Pd, che è passato dal 36,2% al 22,4%, il che, in termini assoluti, significa avere lasciato a casa 273.759 mila voti». «Naturalmente – prosegue l’analisi – il dato del 2014 ha goduto dell’“effetto Renzi” e, tuttavia, non si può non rilevare che i 430.782 voti presi dal Pd alle regionali del 2019 rappresentano il dato più basso nella storia dei democratici in Piemonte». Ma nonostante questo, il partito può comunque «rivendicare una risalita percentuale sulle politiche di un anno fa».

Le urne piemontesi hanno portato l’astensionismo a livelli record: la partecipazione è stata pari al 63.3%, corrispondente a 2.290.495 votanti su un totale complessivo di 3.616.191 di aventi diritto. In una sua analisi del responso del voto, l’Istituto Cattaneo inserisce il dato in un «panorama di disaffezione nei confronti del voto ben più ampio, che riguarda anche le elezioni politiche e le elezioni europee». Ma in Piemonte, a differenza di quanto accade altrove, «si registra una disaffezione maggiore nei confronti delle elezioni regionali, e forse anche nelle relative istituzioni, rispetto alle consultazioni sovraregionali». Il dato del 63,3% è il più basso della storia delle elezioni regionali. Nel 1970, anno della prima consultazione, l’affluenza fu del 94,5%. Da allora il calo è stato continuo: ma se nel 1990 gli elettori che si presentarono alle urne furono l’88,9% del totale, nel 2000 scesero al 72%, e nel 2010 al 64,3% del 2010. Il leggero recupero del 2014 (66,4%) è stata seguito dal crollo del 2019 (-3.1%).

Dal voto di domenica scorsa emerge un quadro di «bassa frammentazione elettorale» e una «tendenza al bipolarismo». La competizione, si legge nel report, «si è giocata di fatto intorno alle due tradizionali coalizioni di centrodestra e centrosinistra», che hanno saputo «includere tutte le formazioni ascrivibili al proprio perimetro politico» raccogliendo, in totale, l’86,8% dei voti validi. Un quadro in cui, naturalmente, ha contribuito quella che l’Istituto definisce la «débâcle senza appello» del Movimento 5 Stelle, che rispetto alle regionali del 2014 ha perso il 40% dei voti. Se per il Piemonte lo schema bipolare non è una vera novità (nel 2014 l’indice fu del 72.4%), la tornata del 2019 conferma «l’insussistenza del M5s sul piano subnazionale». Per il Movimento, secondo l’istituto, il dato deve suonare come un campanello d’allarme: questa dinamica, che negli ultimi anni gli osservatori ritenevano valida solo a livello locale, «potrebbe forse tornare a caratterizzare il livello sistemico, come le europee hanno in una qualche misura segnalato». Ma è ancora presto per arrivare a una conclusione: i tempi non saranno rapidi e «molto dipenderà da come il M5S saprà reagire a questo significativo ridimensionamento».

La sconfitta registrata deve spingere la classe dirigente pentastellata a «una profonda riflessione» e a «un ripensamento dell'organizzazione territoriale». Il partito fondato da Beppe Grillo «ha perso circa il 40% dei voti raccolti alle regionali del 2014 (-155.320) passando dal 20.3% al 12.6%. In buona sostanza, pur tenendo conto della tradizionale difficoltà del M5s nelle elezioni subnazionali, quella del 2019 non può essere rubricata come una caduta momentanea». La necessità di ripensare l’organizzazione territoriale in Piemonte dovrebbe sorgere, secondo l’istituto, anche dall’esito delle elezioni europee «dove il partito, pur subendo una pesante sconfitta, ha raccolto qualche voto in più rispetto alle regionali». «Ma – conclude l’analisi – è il confronto con le politiche del 2018 che risulta impietoso per i pentastellati: il 4 marzo 2018, in Piemonte, il M5s raggiunse il 26,5%, pari a 648.740 voti, ben 407.765 in più di quelli raccolti oggi».

In sintesi, l’esito delle votazioni regionali piemontesi presenta più che un centrodestra un «destra-centro» a trazione Lega di Matteo Salvini. Il vero vincitore di questa tornata, secondo l’analisi, è la coalizione: se il candidato alla presidenza, Cirio, ha superato nettamente i propri avversari raccogliendo il 49.9% dei consensi, le forze che lo hanno sostenuto hanno fatto ancora meglio (53.5%). Le ragioni che hanno portato il centrodestra al successo sono due: la prima (e la più importante) è la «straordinaria prestazione elettorale della Lega di Salvini», che rispetto al 2014 è cresciuta di quasi 30 punti percentuali. La seconda è la «ritrovata compostezza» della coalizione con il ritorno di Fratelli d’Italia e dell’Udc. L’istituto registra così «un significativo spostamento a destra» perché «a fronte della crescita di FdI e, soprattutto, della Lega, Forza Italia lascia per strada una quota rilevante dei propri consensi». Il partito di Berlusconi, infatti, nel 2014 raccoglieva «il 63,2% dei consensi della coalizione, mentre oggi si è fermato appena al 15,7%». È un destra-centro, dunque, quasi completamente «egemonizzato da Salvini, il cui partito attrae circa il 70% dei consensi passando dai 141.741 voti del 2014 ai 712.204 del 2019».

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