LE REGOLE DEL GIOCO

Dopo l'ok al referendum di Salvini "dimenticato" l'odg voluto dal Cav

La maggioranza in Regione non mette in calendario la mozione chiesta da Berlusconi per dare il via libera alla consultazione sulla legge elettorale. Imbarazzo dei consiglieri di Forza Italia: "Aspettiamo il verdetto della Corte Costituzionale"

Che fine ha fatto l’ordine del giorno con cui Forza Italia tentava di modificare in parte l’ipotetica futura nuova legge elettorale figlia del referendum imposto da Matteo Salvini alle regioni di centrodestra? Dov’è finito il compromesso senza il quale Silvio Berlusconi aveva minacciato di far saltare il banco dopo il diktat del leader leghista? Spariti. Volatilizzati. Anche Alberto Cirio, che pure aveva imboccato quella via come estremo tentativo di mediazione, pare essersene dimenticato e nel centrodestra nessuno osa riaprire una partita che, con sollievo, tutti sperano di aver definitivamente archiviato.  

La trattativa per ricomporre il centrodestra dopo il blitz di Salvini risale a quelle ore convulse tra il 24 e il 25 settembre, in cui la Lega premeva per far approvare ai governatori di centrodestra una proposta di referendum con l’obiettivo di abolire la quota proporzionale dall’attuale legge elettorale. È la norma anti-ribaltone, quello che il capo della Lega, a suo dire, aveva appena subito con la nascita del governo giallorosso. Il Cav. indispettito dall’atto unilaterale minaccia la rappresaglia, fa sapere di essere pronto a chiedere ai suoi consiglieri regionali di non votare la proposta, mettendone a repentaglio l’approvazione. Salvini ha bisogno del via libera di almeno cinque regioni per potersi presentare il quesito in Cassazione, ma la minaccia di Berlusconi si rivela abbastanza in fretta un’arma spuntata. In questa disputa Cirio, forse il più leghista degli amministratori azzurri, cerca un compromesso in grado di toglierlo in fretta dall’imbarazzo.

In poche ore ecco l’idea: la mediazione si materializza in un ordine del giorno da allegare al testo di Roberto Calderoli. Berlusconi accetta, la tempesta si placa. “Abbiamo fatto il nostro dovere e abbiamo dimostrato che la maggioranza sa capirsi al suo interno e trovare una posizione compatta e condivisa” tirava un sospiro di sollievo il governatore annunciando in aula l’unità ritrovata all’interno della coalizione: il provvedimento poteva finalmente essere approvato da tutto il centrodestra in ognuno dei consigli guidati dalla coalizione. Alla fine il semaforo verde arriverà da ben otto regioni: Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Sardegna Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Liguria.   

La verità è che Berlusconi aveva ben poche alternative e quell’ordine del giorno altro non era che un’exit strategy. Proprio nelle ore in cui infuriava la crisi, infatti, i suoi sherpa gli consegnavano il bollettino degli ammutinamenti: i consiglieri azzurri della Lombardia erano pronti a seguire Salvini e pure nelle altre regioni, se posti di fronte a una prova di lealtà, pezzi rilevanti di quel che resta di Forza Italia avrebbero impiegato un batter d'occhio a disertare e passare col “nemico” leghista. Cosa avrebbe fatto Cirio non lo saprà mai nessuno. Di certo c’è che per evitare di scegliere si è messo lui stesso a mediare, pur sapendo che l’intesa trovata aveva dalle parti di Arcore l’amaro sapore della resa.

La dimostrazione sta proprio in ciò che è successo nei giorni successivi. L’ordine del giorno approvato assieme alla richiesta di referendum, infatti, impegnava la giunta “a formulare con apposita legge regionale (…) una proposta di legge al Parlamento nazionale che preveda un sistema maggioritario  con premio di maggioranza temperato da un’adeguata quota proporzionale, unitamente all’introduzione del presidenzialismo”. Sono passate più di tre settimane ma di questa legge non v’è traccia. Scomparsa dal dibattito a Palazzo Lascaris e pure dalla programmazione dei lavori con cui Giunta e Consiglio indicano le proprie priorità nei quattro mesi successivi. Insomma, di qui alla fine dell'anno non se ne parla neanche.

Che il provvedimento rischi di non vedere mai la luce lo dimostrano anche le risposte imbarazzate di chi in Forza Italia è stato interpellato sulla questione. Nessuna dichiarazione ufficiale, solo una spiegazione, arrivata da fonti azzurre in Consiglio, secondo cui si starebbe attendendo il responso della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum per procedere. Probabilmente un modo per prendere tempo e chissà che non siano proprio i magistrati a togliere ai berlusconiani le castagne dal fuoco: “Se respingessero la consultazione popolare sarebbe inutile dare attuazione all’ordine del giorno”. 

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