Il Coronavirus dell’informazione

Durante una pausa pranzo nei giorni scorsi entro in una birreria del centro città. Sedendomi al tavolo tutto mi sembra come sempre: non rilevo alcuna irregolarità in quel locale, mentre la proprietaria mi raggiunge per annotare l’ordinazione. Ogni cosa è nella norma nel pub, ma il periodo che stiamo attraversando purtroppo non lo è per nulla.

In realtà il mio occhio percepisce una qualche stranezza, a cui subito non faccio caso. Poco dopo mi stupisce la quasi totale assenza di clienti (solitamente nella pausa lavorativa delle 13 il locale si riempie). Il sopraggiungere di due avventori, apparentemente intenzionati a sedersi per mangiare qualcosa, svela immediatamente il cupo mistero. Questi, appena messo piede nella birreria, posano immediatamente gli occhi sul volto di colei a cui dovranno affidarsi, soffermandosi sui suoi lineamenti. Dopo una breve consultazione i due escono senza salutare, ma bofonchiando tra loro una frase che non passa inosservata: quel volto ha i tratti somatici caratteristici di chi proviene dalla Cina. Un particolare a quanto pare sconvolgente per i mancati clienti che tornando in strada commentano "È cinese, andiamo via!".

Noto lo sguardo sconsolato della donna che gestisce la birreria e cerco di trattenere nella mente le spiacevoli considerazioni su quanto accaduto. Mi sfugge però una manciata di parole "Brutta cosa l'ignoranza", e lei sorride.

I sassi lanciati contro alcuni studenti cinesi che frequentano l'istituto di Belle Arti a Frosinone è un altro esempio di ignoranza, come lo è spintonare una ragazza asiatica fuori da un bus della tratta Cuneo-Torino per timore di essere vittime del contagio (la giovane non aveva neppure un raffreddore).

Un tristissimo clima di “caccia all'untore”, in pieno stile medievale, sta permeando le strade e le piazze delle nostre città. Un angosciante ritorno al passato le cui cause risiedono nella regressione culturale di questa Italia, ma pure in un allarmismo spaventoso quanto irresponsabile lanciato dai media sin dai primi giorni in cui giungevano le notizie del coronavirus da Pechino.

Televisione e radio hanno gareggiato a chi stupiva di più gli ascoltatori tramite un sensazionalismo esasperato. La televisione si è riempita di immagini di ospedali pieni di persone in agonia, di militari con mascherine e tute, di fotogrammi di morte. Addirittura un programma non banale come Caterpillar (Radio Due) ha messo in luce un inatteso cinismo nelle sue ultime dirette. Toni usati e ritmi radiofonici hanno creato una miscela a dir poco angosciante per il pubblico in ascolto.

Alcuni quotidiani, i soliti ormai noti da tempo per lo scarsissimo il livello etico dei propri redattori, hanno deciso di uscire in edicola con titoli catastrofici, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Un quadro penoso a cui si aggiunge la scelta politica di gruppi appartenenti all’estrema destra, nonché di taluni rappresentanti istituzionali targati Lega, di voler riproporre le persecuzioni etniche mascherandole però con la prioritaria sicurezza sanitaria degli italiani. Video fake lanciati in rete da biechi individui in cerca di like hanno completato la presa in giro riservata a noi tutti.

Il modello adottato è collaudato, poiché è lo stesso adottato dai nazisti quando disegnavano la stella di David sulle vetrine dei negozi gestiti dagli ebrei. Incredibilmente lo stesso Conservatorio di Torino si è sentito in dovere di rassicurare i genitori degli allievi sullo stato di salute dei tanti studenti cinesi presenti nelle aule dell’istituto. Del resto Salvini, con la sua famosa citofonata alla famiglia italo-tunisina residente nel quartiere Pilastro di Bologna, ha voluto indicare a molti italiani la via da perseguire per individuare arbitrariamente il presunto “Male assoluto”: in assenza di forche portatili si fa quel che si può. 

In quell'occasione un’anziana cittadina bolognese indicò incautamente al leader leghista, in cerca di voti come non mai, l’abitazione di una famiglia giudicata dalla stessa “di spacciatori”. È stato sufficiente questo atto per indurre il Matteo Verde (da non confondere con il Matteo Fiorentino, anche se si assomigliano molto) a citofonare ai Labidi-Razza accusando il giovane figlio di spaccio, davanti alle telecamere con tanto di codazzo di giornalisti.

La reazione dei cronisti presenti non è stata di stigma verso quell’inaudito gesto, anzi i professionisti dell’informazione si sono lasciati andare a risate servili molto utili a dare un’ulteriore benedizione all'iniziativa dal “vago” sapore razzista.

Giornalisti che ridono assecondando la follia xenofoba e strumentale di parte della Politica, giornalisti che gridano all’untore rivolgendosi a un popolo che legge poco, ma che ama seguire le idiozie in modo indefesso. Popolazione credulona, predisposta solamente a dichiarare guerra ai poveri e sempre pronta a perdonare le ruberie dei colletti bianchi.

Sarebbe forse ora di riflettere sulle tante responsabilità che hanno generato questa follia. Forse siamo ancora in tempo per rimediare ai tanti danni sociali causati, per porre freno alla frammentazione della comunità in una miriade di individui perennemente arrabbiati con il vicino di casa. Occorre rimediare al drammatico clima di odio in cui è stata gettata questa nazione: un’Italia in passato accogliente culla di civiltà. 

È comprensibile la paura nei confronti di un virus che causa numerosi decessi, così come è giustificabile la paura generata da un clima in fase di veloce mutamento (a Torino lunedì 3 febbraio scorso abbiamo toccato i 26 gradi di temperatura), ma le radici dei nostri guai vanno cercate altrove: in chi per tutelare i propri interessi, nel nome del facile profitto, sta scavando la fossa comune in cui seppellire l’intera Umanità.

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