EMERGENZA SANITARIA

Iniezione da 120 milioni per la medicina territoriale

È quanto spetterà al Piemonte secondo il riparto delle risorse stanziate dal governo. Si prevede subito l'assunzione di 688 infermieri. Fazio: "I malati vanno intercettati e curati il prima possibile, dirottarli negli ospedali è cattiva sanità"

Del miliardo e 256 milioni che, nel decreto “Aprile” slittato a maggio e atteso per le prossime ore, sarà destinato alla sanità territoriale, in Piemonte dovrebbero arrivare circa 120 milioni, pari all’8% abitualmente attribuito alla regione nel riparto del fondo nazionale. Una cifra importante che Ferruccio Fazio, interpellato dallo Spiffero, traduce nella rapida assunzione di 688 infermieri per rafforzare la rete di medicina del territorio. “Ovviamente aspettiamo il testo del decreto, ma in base alle informazioni che arrivano abbiamo calcolato questo numero di professionalità. Una parte delle risorse dovrebbe essere impiegata per le terapie intensive, però siamo ancora nel campo delle ipotesi”, precisa l’ex ministro della Sanità chiamato dal governatore Alberto Cirio a guidare la task force per ridisegnare – qualcuno dice creare pressoché da zero – la medicina territoriale, indiscutibile lato debole della sanità piemontese la cui inadeguatezza è venuta drammaticamente alla luce con la diffusione del coronavirus. Non un’eccezione quella piemontese: a parte il Veneto che già possedeva una rete territoriale molto efficiente e capillare, anche le altre regioni colpite dall’epidemia in maniera massiccia, la Lombardia su tutte, hanno mostrato quanto una politica che ha trascurato questo aspetto della sanità abbia pesato drammaticamente.

Alla base della decisione di investire risorse importanti sul sistema del territorio – in un quadro complessivo che prevede in tutto 3 miliardi e 250 milioni per la sanità da erogare subito e 1 miliardo e 360 ogni anno per i prossimi dieci arrivando ai 37 miliardi messi a disposizione del Mes per spese dirette e indirette legate al coronavirus – c’è la necessità di affrontare e gestire la Fase 2 orientando la gestione dell’infezione e del contagio con isolamento precoce dei casi e dei contatti stretti, la protezione delle popolazioni più vulnerabili e riequilibrio dell’offerta assistenziale anche per gli ambiti non Covid. Il piano nazionale prevede l'assunzione di 10mila infermieri per rafforzare l'assistenza domiciliare, di circa 5mila tra medici e amministrativi destinati a implementare i dipartimenti di prevenzione.

Non meno importante la sorveglianza attiva con la messa a disposizione dei pazienti di saturimetri e, soprattutto, migliorare l’assistenza domiciliare con il potenziamento della presenza infermieristica. Secondo i calcoli del ministero della Salute servono almeno 8 infermieri ogni 50mila abitanti, con copertura del servizio dalle 8 alle 20 per cinque giorni alla settimana.

Un piano, quello previsto dal dicastero di Roberto Speranza, che di fatto incrocia in più punti quello annunciato nelle sue fasi iniziale dal suo indiretto predecessore nella conferenza stampa dell’altro giorno. Attribuendo ai medici di medicina generale il ruolo di prime “sentinelle” sul fronte anti-Covid, Fazio ha ribadito la necessità di rafforzare e consolidare la medicina extraospedaliera, che si dovrà tradurre con il piano da 15 milioni di euro annunciato da Cirio e dall’assessore alla Sanità Luigi Icardi.

L’ex ministro ha rimarcato come “tutti i sistemi sanitari evoluti hanno una forte presenza di medici di base per seguire le malattie croniche e intercettare le epidemie. Le malattie croniche hanno riacutizzazioni e farle arrivare all'ospedale è cattiva sanità, vanno prevenute. Lo stesso vale per le epidemie, i malati vanno intercettati e curati il prima possibile”. Per fare tutto ciò servono risorse professionali e finanziarie. Se l’emergenza ha colto il Piemonte con un organico negli ospedali di e medici già sottodimensionato rispetto alle normali esigenze, la situazione è, se possibile, ancora più critica sul versante esterno. Una vera riforma della medicina territoriale in Piemonte non è mai stata fatta. Sarebbe dovuta arrivare dopo quella della rete ospedaliera, attuata con la delibera 1-600, invece nei fatti non è mai partita.

Una delle due gambe su cui avrebbe dovuto camminare la sanità piemontese si è mostrata più che zoppicante: i servizi di igiene e sanità pubblica, i Sisp, sottodimensionati e gestiti troppo spesso in maniera approssimativa, la medicina di gruppo bloccata da parametri troppo restrittivi, inesistenti le reti di interscambio di dati e cartelle cliniche, pochi infermieri sul territorio e un elenco di carenze che potrebbe andare ancora avanti.

Mentre si prospetta una revisione della rete ospedaliera, la mancata riforma della medicina del territorio dovrà, per forza, essere fatta in un quadro ancora emergenziale, se il Piemonte vorrà evitare il rischio di dover affrontare non solo le prossime settimane, cruciali dopo il lockdown, ma soprattutto l’autunno e l’inverno quando il virus potrebbe ripresentarsi con recrudescenza.

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