SuperTrump vs Covid

Accuse pesanti, insulti, colpi bassi e attacchi personali. Il primo confronto televisivo tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti ha dato vita a uno spettacolo feroce. A poco sono serviti i tentativi del moderatore di riprendere in mano la situazione, di riportare il dibattito su toni politici. Nello stesso modo è caduta nel vuoto la domanda che il medesimo ha rivolto in più occasioni a Trump “Presidente, quanto ha pagato di tasse nell’anno 2017?”. Il palcoscenico era a uso esclusivo dei due protagonisti: solitari attori drammatici sulla ribalta.

Il Presidente Trump ha speso molta energia per tentare di mettere all’angolo l’avversario democratico. Il repubblicano ha usato una tecnica da tempo in auge tra le fila della destra ultranazionalista occidentale: l’assalto verbale; l’aggressione affidata ad urla che liberano notizie false, ma di grande effetto nell’opinione pubblica.

Slogan, retorica spicciola e assenza di una qualsiasi parola di condanna nei riguardi dei suprematisti bianchi: è forse questa la sintesi più calzante per riassumere gli argomenti del Presidente durante il confronto televisivo. L’inquilino più importante della Casa Bianca si ripropone, senza ombra di dubbio, nelle vesti dell’unico vero interprete dei malumori che affliggono il Paese a Stelle e Strisce.

Trump incarna infatti il lato oscuro, quello ultraconservatore, della società americana: l’estrema destra che si diffonde soprattutto nelle zone del profondo Sud e che cresce nella propaganda della grande “Cospirazione comunista quale causa di tutti i mali”. Gli elettori che rimpiangono i vecchi tempi del segregazionismo, quando i neri potevano sedere solo in alcuni posti negli autobus, guardano con speranza a una conferma dell’attuale amministrazione in carica: l’unica in grado di rovesciare la congiura sionista/rosso/massonica.

Indicare colpevoli, capri espiatori, è un’attività che sul lungo periodo paga in termini di fiducia e successo elettorale. Una buona parte del sottoproletariato urbano, e dei lavoratori dell’agricoltura, prova simpatia istintiva verso chi “Si è fatto da solo”, ossia quegli individui spregiudicati che partendo dagli ultimi gradini della scala sociale arrivano a scalarne il vertice. Ricerca di un nemico comune (anche immaginario) e ambizione sfrenata: due ingredienti dagli ottimi risultati, se mescolati nelle giuste dosi.

Pare che l’impero economico del proprietario della “Trump Tower” sia meno solido di un tempo. Investimenti errati e operazioni commerciali dagli esiti nefasti hanno messo in crisi il bilancio del leader repubblicano, sino a rendere molto complesso il suo rapporto con l’agenzia tributaria. Secondo alcune importanti firme del giornalismo d’inchiesta statunitense (figure professionali lontane dai nostri urlatori televisivi) il Presidente Usa da anni non versa neppure un dollaro alle tasse. A causa delle forti perdite finanziarie il sistema pubblico sostiene il deficit delle sue società attraverso il credito d’imposta.

Indizio che permette di dedurre le ragioni per cui il leader americano deve conservare, a tutti i costi, il suo posto a Washington.

Riconferma ardua da raggiungere, forse impossibile se gli elettori prendessero coscienza delle promesse fatte nella precedente campagna elettorale e poi non  mantenute (elezioni perse da Hillary Clinton che incassò il 48,2% dei consensi ma solamente 227 grandi elettori, mentre il suo avversario arrivò al 46,1% ma contò su ben 304 grandi elettori).

La condizione sociale ed economica degli operai americani infatti non è per niente migliorata. Il governo non è riuscito neanche a fermare la fuga dell’industria verso territori oltre frontiera. In compenso Trump ha preferito rianimare la strategia del “Cortile di casa propria”, tanto cara ai vertici politici americani negli anni ‘50/’70. L’America latina ha pagato un prezzo sociale altissimo alla causa presidenziale repubblicana. La primavera politica sbocciata faticosamente nel Sud del continente, regione geografica depredata per decenni dagli “yankee”, è stata soffocata brutalmente dall’amministrazione Trump con la complicità, o peggio il silenzio, degli alleati europei (sempre pronti a marcare i falli nello scacchiere orientale).

Capi di Stato nazionalisti, se non addirittura filofascisti, si sono insediati un po’ ovunque: qualcuno tramite vittoria elettorale (Bolsonaro in Brasile), altri con colpi di Stato mascherati da “Trionfo della democrazia” (come ad esempio la cacciata molto sospetta di Evo Morales in Bolivia). La politica dell’attuale leadership statunitense ha puntato, con successo, a destabilizzare intere nazioni e relativi popoli, smontando con tenacia tutte le politiche liberal di Barack Obama.

Un ritorno al passato. La riproposizione di quel machismo raffigurato negli anni ’80, dai vari Rambo e da Schwarzenegger, caratterizza l’epoca del primo mandato Trump. Il recente scontro con la Chiesa di Papa Francesco segna però una differenza importante rispetto a quei decenni. I Presidenti americani Ronald Reagan e George Bush si relazionavano con Giovanni Paolo II su tutte le questioni di politica estera (dal riconoscimento dei dittatori Sudamericani alla distruzione del Patto di Varsavia). Il Vaticano oggi non accetta invece condizionamenti da oltreoceano, dimostrando di non voler rinunciare al dialogo con la Cina malgrado le pressioni estere, e neppure di fronte alle dichiarate nostalgie della Casa Bianca nei confronti di Woytila.

Il Covid19 ha mietuto molte vittime specialmente nei Paesi dove è più marcato il divario tra classi agiate e povertà. Gli Stati Uniti sono stati martoriati dal virus: si contano migliaia di vittime tra i cittadini che non possono accedere agli ospedali a causa del loro basso reddito. Il Presidente uscente, con soli tre giorni di ricovero in una struttura militare, dichiara di avere debellato la malattia e di poter quindi tornare al lavoro. Trump superuomo, o grande regista dagli effetti cinematografici d’effetto.

La classe media e quella ai margini della società vede nella “guarigione” del Presidente in carica un segnale importante: da una parte la prova della correttezza delle teorie della cospirazione, e dall’altra la certezza che Trump sia una salda roccia al comando del Paese. Tutto questo mentre i più deboli continueranno ad ammalarsi e in molti casi a morire.

I valori solidali della recentissima enciclica papale “Fratelli tutti” si rivolgono a un mondo ammalato, piegato al potere e ai soldi. Un pianeta diviso tra nazioni, nazionalismi, ricchezze per pochi e tanta ingiustizia. Mai come oggi i veri valori cristiani e sociali sono sotto assedio. Un accerchiamento che soltanto l’unità dei popoli può forse ancora spezzare salvando le genti e il pianeta stesso.

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