EMERGENZA IN CORSIA

Se non diminuiscono i ricoveri
ospedali in crash tra 10 giorni

Ancora duemila posti per pazienti Covid, ma quotidianamente ne entrano più di 200. In Piemonte il tasso più alto di criticità. L'assessore Icardi: "Applicare il protocollo per le cure domiciliari". Il problema delle dimissioni dei positivi

Ancora dieci giorni, poi se i ricoveri proseguiranno con l’attuale media giornaliera che oscilla tra i 250 e i 300 pazienti per gli ospedali piemontesi sarà inevitabile il crash. La saturazione completa, il non poter più ricevere persone colpite dal Covid è uno scenario terribilmente concreto e il tempo per provare ad evitarlo ad ogni costo è davvero poco.

Attualmente su circa 11mila posti letto complessivi, gli ospedali della regione ne hanno oltre 3700 dedicati a pazienti colpiti dal Coronavirus. “Con la riconversione di molte strutture ospedaliere, l’utilizzo anche delle tende dell’esercito e la trasformazione in covid hospital di cliniche private – spiega l’assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi – abbiamo definito un limite che è quello di 5600 posti. Non di più. Si devono, infatti, continuare a fornire cure per patologie tempo-dipendenti come l’infarto e l’ictus, per quelle oncologiche così come per tutte quelle terapie, compresa ovviamente la traumatologia, irrinunciabili e non rinviabili”.

Fatto un semplice conto, con una media di 250 ricoveri al giorno si comprende come sia esiguo il lasso di tempo per arrivare ad occupare quei poco meno di 2mila posti che separano dal punto di rottura del sistema ospedaliero. Una situazione di allarme confermata anche dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che nell’aggiornare la situazione dei ricoveri nei reparti nei reparti di pneumologia, medicina generale e malattie infettive, attesta che l’occupazione di letti da parte di pazienti Covid ha superato la quota critica del 40% raggiungendo il 45% a livello nazionale. Valore più che raddoppiato in Piemonte, la regione con il più alto in assoluto pari al 101%, contro per esempio il 43% dell’Emilia-Romagna, ma anche il 71% della Lombardia.

"Bisogna dire chiaramente che con questi numeri, se non si frena la crescita di ricoveri, riducendola in fretta, il sistema non può reggere”, avverte l’assessore che rimanda ai tre fronti cui sta lavorando il Dirmei, Dipartimento per le emergenze e le malattie infettive, che, di fatto, è diventato l’Unità di Crisi. Il primo riguarda l’appropriatezza dei ricoveri. Ormai è noto che una parte delle persone che arrivano in ospedale sono in condizioni cliniche che non richiederebbero il ricovero. Le ragioni che portano all’esatto contrario sono più d’una: dalla decisione, di fronte a sintomi, di chiamare il 118 passando per casi in cui è il medico di famiglia a decidere l’ospedalizzazione, fino al ricorso autonomo al Pronto Soccorso.

Servono, dunque, delle linee di indirizzo, come quelle che sta predisponendo il Dirmei, legando strettamente il fronte dell’appropriatezza dei ricoveri con quello delle cure domiciliari, “vero punto di svolta per riportare la situazione negli ospedali lontana dal rischio di una saturazione, con pesantissime conseguenze non solo per i malati Covid, ma anche per tutti gli altri pazienti”, rimarca Icardi. 

"Abbiamo aggiornato il protocollo terapeutico già adottato tempo fa prendendo come base e modello quello applicato con successo in provincia di Alessandria, nell’area di Acqui Terme e Ovada durante la prima ondata. Purtroppo non c’è l’idrossiclorochina perché l’Aifa continua a tenere una posizione intransigente nonostante le nostre richieste, compresa quella di utilizzare il farmaco in via sperimentale con la volontarietà del medico di famiglia e il consenso del paziente. Ma il protocollo, con gli altri farmaci e con le linee guida precise c’è e – dice l’assessore – deve essere applicato. Solo così si riescono a curare molti malati a casa, evitando ricoveri impropri con vantaggi per i pazienti innanzitutto e per il sistema ospedaliero che deve poter continuare a curare anche i malati non Covid”.

Dal Dirmei diretto da Emilpaolo Manno l’indicazione ai direttori generali delle Asl, ai responsabili dei distretti territoriali, così come ai medici di medicina generale perché applichino il protocollo per la terapia domiciliare è molto forte. “Deve essere applicato”, taglia corto Icardi che ai vertici delle aziende sanitarie e ai medici di famiglia chiede “un’azione coordinata, rapida ed efficace”. Da questo approccio terapeutico dipende gran parte della possibilità di non arrivare tra dieci giorni a raggiungere quel limite dei 5600 posti negli ospedali. Tuttavia, non va nascosto che sia dai vertici delle Asl, sia ancora da una parte dei medici di famiglia occorra un deciso cambio di passo. Inutile continuare a indicare, giustamente, da mesi nella medicina territoriale il punto debole della prima fase e non meno in questa seconda ondata se dalle parole non si passa ai fatti. “Non diamo colpe a nessuno, ma a tutti chiediamo un impegno straordinario”, il messaggio che lancia l’assessore.

Ultimo e non meno importante fronte è quello delle dimissioni dei pazienti che non necessitano più di ricovero, ma sono ancora positivi. Sono state date disposizioni ai primari, ma il sistema funziona se chi esce dall’ospedale e non è in grado di garantire un isolamento nella propria abitazione può contare sui Covid Hotel o, nel caso più complicato e con necessità più complesso degli ospiti delle Rsa, in strutture adeguate. Anche su questo fronte, in molti casi, c’è ancora da lavorare. Ma il tempo, ormai, è davvero poco.

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