EMERGENZA SANITARIA

Tracciamento fai da te per affrontare la terza ondata

Riapertura delle scuole e ritorno alla "normalità", insieme ad ancora troppi casi, fanno prevedere la recrudescenza del virus verso la metà di febbraio. L'epidemiologo Costa: "Ciascun positivo potrebbe avvertire i i suoi contatti rapidamente"

“Arrivare a inizio gennaio con un numero di positivi ancora troppo alto, l’apertura delle scuole e delle attività economiche tipiche da zona gialla e probabili scompensi nel sistema di tracciamento. Con questo scenario è difficile escludere una terza ondata verso la metà di febbraio”. Uno scenario che potrebbe attagliarsi al Piemonte, quello indicato come terreno ideale per innestare la terza ondata di contagi su una seconda tutt’altro che esaurita dall’epidemiologo Giuseppe Costa, docente ordinario di Sanità pubblica all’Università di Torino, uno degli esperti del Dirmei, il dipartimento per le emergenze e le malattie infettive dove ci si prepara a quella che molti annunciano come la prossima battaglia contro il virus. Senza aver vinto quella ancora in corso.

Ieri il virologo Lorenzo Pregliasco ha lasciato poco margine alla possibilità di sfuggire a una terza ondata. Professor Costa lei concorda con questa previsione o ci sono margini per sperare che non si concretizzi?
“Se si dovesse accentuare in maniera decisa e costante la discesa dei dati, allora lo scenario potrebbe anche cambiare. Arrivando a cento casi al giorno si potrebbe sperare di tenere sotto controllo la situazione mentre si procede con la campagna vaccinale. In questo caso sarebbe una terza ondata meno preoccupante senza la ricaduta sulle terapie intensive che vediamo invece ancora in questa seconda tuttora in corso”.

Come agire per il meglio? Servono più tamponi? Però il governatore del Veneto Luca Zaia sostiene che nella sua regione ci sono più casi perché si fanno più temponi.
“Direi che è una semplificazione. Si trovano tanti casi se il virus circola molto”.

Quindi meglio farne tanti, anche se ultimamente i numeri in Piemonte sono scesi?
“Il tampone è una strategia formidabile se funziona bene tutto il sistema di tracciamento dei casi. Quando si supera un certo numero anche la più attrezzata compagine di igiene pubblica non riesce più a tenere il passo”.

Che poi è quello capitato nelle settimane e nei mesi scorsi. Anche a questo problema, emerso in tutta la sua gravità con il contact tracing saltato, non c’è rimedio? 
“Stiamo studiando soluzioni complementari. Io, per esempio, sono tra i sostenitore del tracciamento fai da te”.

Che sarebbe?
“Appena una persona scopre di essere positiva, telefona a tutti quelli con cui è stata in contatto, amici parenti, il negoziante, il barbiere, magari rintraccia anche il tassista. In poche ore fa un tracciamento vero e proprio avvertendo tutti di andare a farsi un tampone”.

In pratica contatta quelle persone che adesso dovrebbe indicare ai Sisp che a loro volta dovrebbero rintracciarli.
“Esatto, ma con il vantaggio della rapidità e con un potere persuasivo molto piu forte rispetto a quello che può avere un’autorità sanitaria, una voce sconosciuta o una mail. Questo senza nulla togliere alle procedure in atto, ma è un sistema a cui stiamo lavorando e che probabilmente potrà avere un esito già a gennaio in Piemonte”.

Il principio è quello della app Immuni che non ha funzionato proprio per la complessità e la mancanza del fattore umano, è così? 
“Direi di sì, certo per far funzionare il tracciamento fai da te serve un accesso rapido e agile, senza lungaggini burocratiche, ai tamponi. Semplificare e velocizzare. Dobbiamo evitare che riaccada una saturazione della capacità di tracciamento”.

Tamponi rapidi o molecolari?
“Hanno un’accuratezza differente. Il molecolare è molto preciso, il rapido sbaglia soprattutto nel non riconoscere positivi. C’è il rischio di dare una patente di negativo a chi è positivo, ecco perchè spesso si ripete il test aumentando l’attendibilità. Restano comunque una buona soluzione per isolare subito i positivi, abbreviando i tempi”.

Quanto deve preoccupare la riapertura delle scuole?
“La preoccupazione c’è. Le scuole sono un meccanismo di creazione di contatti sociali, sui trasporti come nei paraggi degli istituti. Ma è altrettanto vero che se li si lasciano a casa i ragazzi i contatti sociali li cercano comunque. Questo accade soprattutto dalle medie in su”.

Professore, secondo lei da parte delle Regioni c’è stata una corsa eccessiva per passare da zona rossa ad arancione e quindi gialla? Questo dovrebbe insegnare qualcosa per l’immediato futuro?
“C’è un piano sanitario e uno economico. Il pendolo della politica talvolta ha oscillato più verso una parte rispetto all’altra. Ci sono presidenti di Regione che hanno dato più peso all’economia e chi è stato più ottimista adesso si lecca le ferite. Chi, invece, ha assunto atteggiamenti più rigidi come nel caso del Piemonte. Certo se mi si chiede cosa ne penso, dico che preferisco non vedere barelle occupate ammassate negli ospedali, piuttosto che evitare altre conseguenze, comunque pur sempre pesanti”.  

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