AMBIENTE & POLITICA

Gran "rifiuto" nucleare della Lega: stop a ogni decisione sul deposito

Dopo un'attesa di sei anni per il capogruppo Molinari occorre un altro rinvio: almeno fino alla fine dell'epidemia. Come un No Tav qualsiasi argomenta la posizione contraria. La disponibilità "controcorrente" e responsabile del sindaco di Trino

“Non a casa mia”, cortile o giardino che sia. Anche Riccardo Molinari, leader della Lega Piemonte e capogruppo del partito di Matteo Salvini a Montecitorio, è stato contagiato dalla sindrome Nimby e si schiera a protezione del suo feudo elettorale, l’Alessandrino, contro la possibilità che sul territorio possa essere realizzato il sito di stoccaggio delle scorie nucleari, eventualità prevista dalla recente pubblicazione della Carta nazionale da parte della Sogin. Il primo passo da compiere, secondo Molinari è “rinviare ogni decisione finché ci sarà l’emergenza da Covid, escludendo in ogni caso zone densamente popolate, a vocazione agricola e limitrofe a siti Unesco. Con specifico riferimento, in Piemonte, al sito Unesco Langhe-Monferrato-Roero e aree limitrofe, e a zone con vocazione agricola di pregio come le Terre dell’Erbaluce e la pianura alessandrina”.

Questo sostanzialmente il senso della mozione presentata dai parlamentari leghisti alla Camera dopo la pubblicazione della mappa incriminata da parte della società statale incaricata dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. La Carta comprende 67 aree, con priorità differenti, dislocate nelle regioni Piemonte (8 zone), Toscana e Lazio (24 zone), Basilicata e Puglia (17 zone), Sardegna (14 aree), Sicilia (4 aree). Risultano 12 aree in classe A1, quelle cioè che, secondo la Sogin sarebbero ottimali per ospitare i depositi di stoccaggio: di queste, due sono in provincia di Torino, cinque nell’Alessandrino e cinque in provincia di Viterbo.

Secondo Molinari “le modalità di decisione e comunicazione sin qui adottate dal Governo Conte sono irragionevoli. Il Paese è in piena emergenza per la pandemia, e un tema così delicato, destinato a condizionare fortemente la vita del territorio prescelto, necessita di una decisione motivata e ponderata, frutto di un processo di riflessione condivisa e trasparente”. E così dopo anni di attesa serve ancora ponderare un po’ secondo la Lega che considera “sbagliato avviare una procedura di scelta, in un clima di tensione sociale palpabile e in taluni casi drammatica, senza neanche un preavviso a Parlamento e territori”. E infine la chiamata alle armi di tutti gli eletti del territorio contro l’esecutivo: “Mi auguro che, di fronte ad un tema così delicato,  gli eletti in Parlamento della nostra Regione, a qualsiasi partito o schieramento appartengano, sappiano mettere il bene e l’interesse della loro comunità al primo posto assoluto: in gioco c’è il futuro del Piemonte, e di tutti i piemontesi”.

A leggerla così pare che la regione stia per diventare interamente radioattiva. Una sorta di Chernobyl a cielo aperto. Ma in realtà di cosa si sta parlando? Non avendo l’Italia centrali nucleari, le principali foni di scorie nucleari sono i macchinari per analisi e terapie mediche (banalmente, le radiografie) e alcune macchine industriali utilizzate principalmente per le analisi produttive di parti metalliche e per altre applicazioni di analisi e ricerca. Per costruire il deposito nazionale saranno necessari almeno quattro anni. In totale, la quantità di rifiuti radioattivi da smaltire è pari a circa 95mila metri cubi, di cui 78mila metri cubi catalogati come rifiuti ad attività “bassa” o “molto bassa” che cessano di essere nocivi per la salute e l’ambiente entro 300 anni, e altri 17mila metri cubi di attività “media” o “alta” per i quali serve molto più tempo e quindi necessitano di un deposito nazionale geologico. Tutti questi rifiuti al momento sono conservati in depositi provvisori.

Oltre alla scontata levata di scudi, arrivata più o meno da tutti i territori interessati, controcorrente e all’insegna del pragmatismo appare la posizione del primo cittadino di Trino Vercellese Daniele Pane, uno che di “nucleare” se ne intende perché, come ricorda lui stesso “sul nostro territorio un deposito dei rifiuti c’è ed è l’ex centrale Enrico Fermi, lo è da 30 anni. I rifiuti sono all’interno della centrale, anche se i più pericolosi sono stati trasportati all’estero, l’ultimo viaggio è del 2015”. Pane precisa di non aver mai candidato la sua città a ospitare il nuovo deposito nazionale, anche perché non era possibile tecnicamente farlo, non trattandosi di un bando pubblico ma di uno studio. Pane sottolinea come in tutta Europa ci siano 37 di questi depositi, “mentre l’Italia è in ritardo di almeno 30 anni su questa partita e perciò siamo stati ammoniti dall’Unione Europea”. Pane è un giovane amministratore, 34 anni, eletto in una coalizione di centrodestra che a settembre ha aderito a Fratelli d’Italia. “Horibadito la nostra disponibilità ad essere noi il sito che li ospita nell’eventualità che fosse stata rivalutata tutta la Carta perché nessuno era disponibile ad ospitare il deposito” rimarca Pane, che in questa iniziativa ha avuto proprio in Salvini uno sponsor d’eccezione. A convincere il Capitano a sostenere il primo cittadino di Trino sarebbe stata una delle persone a lui più vicine, la responsabile Ambiente del partito Vannia Gava, già sottosegretario nel primo governo Conte. “Trino già oggi il problema ce l’ha e non solo per sé ma perché vicino a noi c’è Saluggia che ha una situazione ancora più precaria della nostra – conclude il sindaco Pane –. Lo faccio per risolvere un problema che i miei cittadini hanno da trent’anni, altrimenti rischiamo di restare così per i prossimi cento anni”.

print_icon