INTERVISTA

"Tra Pd e M5s alleanza di fatto, Azione andrà per la sua strada"

Troppe ambiguità e tatticismi, anche con la leadership di Letta. La sfida di Costa: "A Torino dicano se in caso di vittoria del centrosinistra ci saranno in giunta assessori grillini". Il nodo della giustizia e la necessità di dar vita al polo liberale e riformista

“Il Pd risponda a una semplice domanda: se vincerà le elezioni a Torino, i Cinquestelle entreranno in giunta? Lo dica agli elettori, senza infingimenti. Interessa poco se non ci sarà un’alleanza al primo turno e magari, formalmente, neppure al ballottaggio”. Il punto è l’alleanza di fatto. Ed Enrico Costa, parlamentare ormai di lungo corso, ex ministro, liberale in culla poi l’adesione a Forza Italia dove tornerà dopo la parentesi alfaniana e da cui uscirà per approdare ad Azione di Carlo Calenda, spoglia il re piddino sotto la Mole con una domanda di cui conosce la risposta: “Non lo diranno chiaramente, faranno un po’ di giri di parole sulle competenze e le risorse, ma la verità è che se vinceranno, a Torino la giunta vedrà il Pd e il M5s insieme”.

Anche con Enrico Letta al Nazareno
“Non ci dobbiamo fare incantare dai modi garbati e felpati di una persona, che io stimo, come Letta, perché mi pare che abbia comunque una prospettiva sia pure mediata dal secondo turno di alleanza con i Cinquestelle”.

Però, il nuovo segretario del Pd ha già incontrato il vostro leader Calenda… 
“Noi dobbiamo dialogare con tutti, ma ci sono degli aspetti che vanno assolutamente affrontati. Se il Pd decide di fare una scelta di affinità con il M5s e un percorso comune anche in due fasi, ovvero al ballottaggio o comunque amministrare insieme, il dialogo auspicato da Letta è nei fatti definitivamente cassato. Per noi quella prospettiva è assolutamente indigeribile”.

Quindi Azione prosegue nel progetto di un terzo polo liberale e riformista, con innesti civici?
“Dobbiamo fare una proposta politica autonoma. Tra i due poli c’è uno spazio enorme. Il dialogo si porta avanti con tutti, ma un conto è dialogare altro è presentarsi alle elezioni insieme. Noi abbiamo risposto a un appello per far nascere un punto di riferimento liberaldemocratico e riformista. A questo lavoriamo”. 

Intanto a Palazzo Chigi è arrivato Mario Draghi. Voi lo invocavate da tempo, ma c’è voluto Matteo Renzi per aprire la strada all’ex presidente della Bce. Glielo riconosce quel merito al leader di Italia Viva?
“Il governo Draghi lo abbiamo sempre auspicato perché ritenevamo che il Paese avesse bisogno di essere governato da chi sapesse farlo. Questo è avvenuto anche se la formula non è proprio quella auspicata: almeno per una certa parte non è proprio il governo dei migliori, il ricorso al manuale Cencelli in alcuni casi risulta piuttosto evidente. È evidente che Renzi ha determinato la caduta del Conte 2, ma forse non si ben percepito il merito visto un incedere piuttosto zigzagante nel corso della crisi del leader di Italia Viva”.

Il problema del rapporto tra Azione e Italia Viva non è piuttosto il problema anche di caratteri tra Calenda e RenziImpossibile, per lei che è stato nel Governo Renzi e l’ex segretario del Pd conosce bene, prevedere un avvicinamento ulteriore? 
“Io penso che la politica ha le sue fasi, i suoi processi e anche i suoi percorsi naturali in cui spesso incide più l’elettorato che non i leader. Se emergeranno maggiori affinità si valuterà. Però, non mi pare logico fare delle preclusioni a prescindere”.

Arrivato Draghi, la politica dei partiti vive in uno stato che si direbbe di sospensione e forse anche di confusione al loro interno. Ma Draghi passerà e come si prepara una forza politica giovane come la vostra per il dopo?
“È fondamentale costruire un dopo Draghi, così come è necessario che la politica cerchi di dare dei punti di riferimento ai cittadini, chiari e senza eludere i problemi come in molti casi è stato fatto. Noi oggi vogliamo fare quello che abbiamo sempre detto: la grande casa dei liberali, dispersi in molti rivoli negli ultimi anni. Oggi in Parlamento si dicono quasi tutti liberali, io li chiamo sedicenti liberali. Luigi Di Maio che si dichiara liberale e appartiene a una forza politica giustizialista, poi si dicono liberali nella Lega ma vediamo posizioni che sono estreme e inconciliabili per i liberali e lo stesso vale per il Pd. Ecco perché è necessario mettere insieme i liberali che non vogliono essere governati da forze che liberali non sono, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. Bisogna farlo però su un progamma”.

E allora arriva Carlo Cottarelli e il think tank Programma per l’Italia, con +Europa e altri che si magari aggiungeranno.
“Altri partiti hanno esperti di social network, c’è chi ha la piattaforma Russeau, noi abbiamo costituito un comitato scientifico e abbiamo l’ambizione di costruire un programma liberale. Le alleanze non si possono fare il giorno prima delle elezioni”.

Lei da sempre si occupa dei temi della Giustizia, è stato anche viceguardasigilli proprio nel Governo Renzi ed è un garantista a prova di bomba. Passare dall’avere in via Arenula Mara Cartabia al posto di Alfonso Bonafede è più di una rivoluzione copernicana. Cosa si aspetta dal nuovo ministro e dal Governo Draghi su questo fronte?  
“Con Cartabia al posto di Bonafede siamo passati dal buttiamo via la chiave al considerare l’indagato e l’imputato un essere umano, una persona in carne ed ossa che se viene assolta dovrebbe tornare esattamente com’era prima, cosa che da noi purtroppo non avviene mai”.

Confida molto in questa fase per avviare le tanto attese riforme, sia in materia civile, sia penale?
“Sì. Questo è il momento in cui noi possiamo veramente dare una svolta alla giustizia. Ci vorrà del tempo, però possiamo avviare una riforma che affermi concretamente principi che il precedente governo aveva messo sotto i piedi”. 

Che cosa raccontano, della giustizia, il caso Palamara e le rivelazioni dell’ex presidente dell’Anm?
“Che si è cercato un capro espiatorio, quando poi si è capiito che il meccanismo era molto più complesso e diffuso. E ci dice anche che dobbiamo avviare un’attivita riformatrice per la credibilità della magistratura, elemento irrinunciabile. Le riforme non le dobbiamo fare contro i magistrati, ma ascoltandoli. A fronte di una manciata di essi che fanno giustizia spettacolo, c’è la stragrande maggioranza che lavora con grande impegno. La riforma la dobbiamo a loro e ai cittadini”.

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