Non perdiamo la lucidità

Abbiamo lasciato alle nostre spalle la seconda festività pasquale dell’epoca Covid, e anche quest’anno i momenti ludici (compresi gli incontri familiari) hanno subito pesanti limitazioni a causa della persistente emergenza sanitaria.

La scorsa Pasqua ci ha colti in pieno confinamento casalingo. Le strade erano pattugliate dalle forze dell’ordine che invitavano le persone a rientrare nelle loro case. Un quadro angosciante, la cui tensione era rotta dai concerti tenuti sui balconi e dai flash mob organizzati con lo scopo di portare solidarietà agli operatori sanitari. Le spiagge, durante il primo lockdown, erano vigilate, e solerti conduttrici televisive coordinavano dallo studio la caccia a quei trasgressori che osavano passeggiare in luoghi isolati (memorabile è l’accerchiamento via mare e via terra di un’anziana signora seduta in solitudine su una panchina dell’Isola del Giglio). In molti momenti era tangibile l’impressione angosciante di essere tutti in una enorme prigione.

Nel marzo del 2020 il picco era di circa 6.500 contagi in un giorno ed era stato reso quasi impossibile anche l’incontro delle coppie conviventi, ma non coabitanti. Persone con un legame duraturo e stabile correvano il rischio di essere fermate e sanzionate da chi non avesse riconosciuto quella legittima unione. Sacrifici molto duri per tutti, in primis per gli studenti e i lavoratori, che hanno portato in maggio a una ripresa della vita normale in un contesto di bassa diffusione della malattia. In questo ultimo fine settimana invece il contagio virale è intorno ai 20.000 casi giornalieri, e la stretta sulla libertà di movimento ha permesso comunque di raggiungere le seconde case, di festeggiare in famiglia e di passeggiare nel centro cittadino. Un apri e chiudi che getta però i cittadini nello sconcerto, oltre che nella disperazione chi non ha alcuna certezza sul suo imprevedibile futuro lavorativo.

In rete circola un video girato da quattro connazionali trentenni in gita in Costa Azzurra. Il gruppo ha dato vita a un picnic utilizzando uno dei tavoli pubblici posti sulla passeggiata del lungomare. Senza indossare alcuna mascherina, i quattro hanno pasteggiato e bevuto Coca-Cola sino all’arrivo del personale della gendarmerie: poliziotti immediatamente contestati sostenendo come il tutto non fosse pericoloso poiché attorno non c’era nessuno (bella scoperta, poiché tutti gli altri seguivano le disposizioni del governo francese). Uno dei gitanti in seguito ha filmato le interviste indignate dei suoi amici protagonisti della provocazione, i quali indossando una patriottica protezione facciale tricolore hanno difeso con forza le insostenibili ragioni alla base del loro discutibile gesto.

Una bravata che ha il sapore politico, una goliardata che nasconde maldestramente una provocazione nazionalistica e una sfida alla cosiddetta “Dittatura sanitaria”, ma soprattutto l’ennesima prova di quello che cova sotto la cenere in alcuni ambienti dell’estrema destra: settore politico più che mai pronto a cogliere il malcontento popolare, insieme al frutto delle paure sociali (le bandiere con il fascio littorio erano visibili durante gli ultimi scontri a Roma tra la polizia e gli operatori del commercio).

I segnali di comprensibile insofferenza si moltiplicano di giorno in giorno, e le Istituzioni dimostrano un’assoluta incapacità di comunicare con i cittadini. Stati e Regioni sembrano impotenti pure nell’insegnamento della corretta prassi di prevenzione sanitaria (semplice atto di rispetto verso gli altri). Non mancano i tempi dei martellanti messaggi “didattici” televisivi, ma di certo stupisce l’assenza di una qualsiasi campagna informativa a protezione delle categorie più fragili.

Basterebbe però avere un parente oppure un amico ricoverato in intensiva per porsi alcune domande e orientarsi meglio nell’era dominata dal virus. Per comprendere il contesto attuale sarebbe sufficiente osservare la Sanità che arranca quotidianamente e tiene duro solamente grazie a medici, insieme a infermieri e oss, che sudano sette camicie per dare assistenza, salvare vite appese a un filo. La situazione non è critica solo nei reparti Covid, ma ovunque: le operazioni urgenti (le uniche garantite dalla Sanità) si eseguono tra mille difficoltà e quando arriva il virus nei reparti di degenza i pazienti vengono dimessi in tempo record. Chiunque potrebbe imbattersi negli effetti del virus, pure i giovani e chi si ritiene immune da qualsiasi possibile contagio.

Si è presentata a noi una drammatica sintesi di tanti anni incentrati su tagli alla Sanità. Stupisce la schiera dei ribelli che protestano per il divieto ai picnic, ma che tacciono su un sistema di assistenza che si è dimostrato monco, insufficiente. Persone pronte ad atti dimostrativi eclatanti contro le decisioni del Ministero della Salute, ma totalmente incapaci di fare un’analisi del percorso politico che nel tempo ci ha condotti a una quarantena lunga ben 13 mesi (sino ad ora e con buona pace di tanti piccoli commercianti e dei gestori degli impianti sportivi, oltre che degli operai da sempre esposti al contagio).

La mancata volontà di approfondire temi e vicende istituzionali, unita alla propaganda qualunquistica di alcuni partiti che sulla Sanità hanno saputo solo fare svendite, sono responsabili di un ribellismo utile ai soli “manovratori”: come l’atto di colui che si evira per fare un dispetto alla consorte.

Rivendicare il diritto alla scampagnata, anziché a un vaccino non in mano alle multinazionali golose di profitto; pretendere una reta sanitaria sul territorio in grado di fare prevenzione e curare immediatamente i casi positivi, e non il curioso diritto a non indossare le mascherine; esigere dalla politica ospedali pubblici e personale al loro interno, invece del diritto alla festicciola tra amici: la differenza tra un popolo maturo e una comunità vittima del consumismo, delle lusinghe dei capobastone che ambiscono al potere.

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