TRAVAGLI DEMOCRATICI

Primarie, spettro Marino su Lo Russo: restare sotto il 50%

Sulla carta è il candidato favorito, eppure il rischio di una vittoria mutilata è assai concreto. Sarebbe una Caporetto non solo per lui ma la disfatta per gran parte del gruppo dirigente. Una replica di quanto accadde tre anni fa alla conta per la segreteria del Pd piemontese

Uno spettro si aggira nel Pd di Torino, quello di Mauro Maria Marino. Un brivido  corre lungo la schiena dei maggiorenti dem che sostengono Stefano Lo Russo alle primarie del centrosinistra per designare il candidato sindaco. Ovvero che possa replicarsi ciò che avvenne nel dicembre 2018, quando il senatore renziano, prima di passare armi e bagagli in Italia Viva, era il nome proposto da un largo fronte del gruppo dirigente, per la segreteria regionale del Pd e, nonostante l’appoggio di gran parte dei big, raggiunse solo il 41,5% dei consensi. Una “vittoria mutilata” che come noto portò, grazie a un’intesa tra i due “sconfitti”, l’accoppiata Paolo Furia e Monica Canalis al vertice.

“Non dobbiamo fare la stessa fine”, ripetono facendo gli scongiuri i supporter di Lo Russo da quando prima Francesco Tresso, poi Enzo Lavolta hanno ottenuto le firme necessarie per prendere parte alla competizione, andando ad aggiungersi al radicale Igor Boni. “Che succede se non superiamo il 50%?”, se alle urne di coalizione non uscirà con ampio margine vincitore? E qui nell’ombra si staglia la sagoma sinistra del Marino. Sarà competizione vera il 12 e 13 giugno e non basta partire favorito per ottenere l’agognata investitura degli elettori. Anche perché i due principali competitor dell’attuale capogruppo in Sala Rossa possono contare su una campagna iniziata in anticipo, battendo per tre settimane la città alla caccia delle sottoscrizioni necessarie, mentre Lo Russo ha preferito rivolgersi ai soli iscritti al Pd. Una scelta che, se da un lato, ha inteso privilegiare l’appartenenza e sollecitare l’orgoglio di partito, dall’altro ha dato fiato al pregiudizio che pesa su di lui: quello di essere un grigio esponente dell’apparato sostenuto dai capataz. Insomma, se non un inciampo di certo un’occasione mancata per confutare una narrazione tanto in voga tra i suoi detrattori. Il professore del Politecnico rischia così di poter fare affidamento solo sulla macchina del partito, peraltro sempre più arruginita e ferma da troppo tempo a causa del Covid, e molto meno sul voto d’opinione.

Dieci anni fa, quando in corsa c’era un cavallo di razza come Piero Fassino, furono 53.185 gli elettori del centrosinistra che affollarono i gazebo per votare. L’ex segretario dei Ds ottenne quasi 30mila voti (il 55,3%) distanziando di gran lunga l’allora giovane virgulto della tradizione cattolica subalpina, Davide Gariglio si fermò a quasi 15mila (27,4%). Più indietro Gianguido Passoni, Michele Curto e Silvio Viale. Covid o non Covid, è difficile prevedere questa volta quanti si presenteranno a votare: Tresso parte da una base di oltre 6mila sottoscrittori, Lavolta addirittura ha superato quota 9mila. Se entrambi riuscissero quantomeno a confermare questi numeri vorrebbe dire che a Lo Russo servirebbero 20mila preferenze per eguagliare il successo dell’ultimo sindaco di centrosinistra che ha avuto il capoluogo piemontese. Molto dipenderà dall’affluenza, tenendo conto che i 53mila del 2011 segnarono un boom per certi versi inaspettato che su quell’onda vinse poi senza patemi le elezioni “vere”. Oggi, però, clima e contesto sono cambiati: in quanti si prenderanno la briga di versare 2 euro per esprimere la propria preferenza? Basterà la possibilità di esprimersi attraverso la piattaforma online del Pd per incrementare in modo significativo il numero dei partecipanti?

Mobilitare le truppe è il primo obiettivo di tutti i candidati, che rispetto a quelli di dieci anni fa sono decisamente meno noti e quindi faticheranno a ottenere il cosiddetto voto diffuso, tra i cittadini. E questo è in particolare il problema di Lo Russo: pallottoliere alla mano la stragrande maggioranza degli eletti in Sala Rossa e nelle circoscrizioni sono dalla sua parte, ma quanto si spenderanno? Servono generali, certo, contano molto i colonnelli, ma sul fronte e in trincea occorre una truppa motivata. E, di nuovo, tra i bengala fumanti la figura del Marino compare come un lemure inquietante.

Un’affluenza relativamente bassa potrebbe avvantaggiare il superfavorito di queste primarie, che parte da una base di 815 firme tra gli attivisti del Pd. Diverso il caso che il popolo del centrosinistra, come enfaticamente viene definito in questi casi, si faccia prendere dalla fregola oppure che, cosa tutt’altro che impossibile, scatti una sorta di chiamata alle armi contro i ras del partito. Allora sì che sarebbero guai seri per Lo Russo: stare sotto al 50% significherebbe una Caporetto con conseguenze facilmente immaginabili. Esattamente quello che accadde a Marino.

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