PANDEMIA & GIUSTIZIA

Morti Covid in Rsa, nessun colpevole

La Procura di Torino chiede l'archiviazione dei primi quattro casi che riguardano strutture del capoluogo e del circondario: "Mancavano le conoscenze scientifiche per arginare la diffusione del virus". A Vercelli, invece, sono stati chiesti rinvii a giudizio

Quando è scoppiato il Covid, tra febbraio e marzo 2020, la situazione era tale che non è possibile far ricadere sui vertici e sul personale della Rsa responsabilità di carattere penale per i casi di morte o di malattia verificatisi nelle strutture: non c'erano conoscenze scientifiche sufficienti e, di conseguenza, l'organizzazione complessiva, a livello generale, era lacunosa sotto vari aspetti. È una delle ragioni per cui la procura di Torino ha chiesto l'archiviazione dei primi quattro fascicoli di indagine aperti per epidemia e omicidio in forma colposa. I procedimenti riguardano Rsa del capoluogo piemontese e del circondario.

Regnava il caos in quelle settimane del 2020. Il Covid, tra febbraio e il marzo di quell'anno, cominciò a sgranare il suo rosario di morti e di paure in un momento in cui nessuno era veramente preparato a controbatterlo. Se ne sapeva troppo poco. Forse qualcuno aveva sottovalutato il problema. Ma mancavano anche gli strumenti adeguati. Tanto che persino l’Oms, in un report, aveva denunciato la penuria di dispositivi di protezione. A livello mondiale. Non si può, dunque, fare ricadere su una singola Rsa la colpa – sotto il profilo penale – dei decessi e delle malattie che colpirono gli anziani ospiti delle strutture. Ecco una delle numerose ragioni per le quali la procura di Torino ha chiesto l’archiviazione dei primi quattro fascicoli di indagine, aperti per epidemia e omicidio in forma colposa, sulle residenze sanitarie presenti nel proprio territorio di pertinenza. “Esigere una condotta diversa dai vertici e dal personale – è il concetto – non è possibile”. Ora sarà un gip del tribunale a decidere. Se deciderà di chiudere il caso, le numerose “persone offese” potranno comunque avviare delle cause in sede civile, dove i meccanismi e le logiche sono diversi.

Il procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo, capo del pool dei pm subalpini che da circa sedici mesi si sta occupando della questione, ha redatto le proposte di archiviazioni corredandole con un preambolo che fotografa la situazione durante le prime fasi della pandemia. Era un periodo in cui, in Piemonte, non erano previsti tamponi a tappeto per tutti i cittadini, e trovare mascherine era un’impresa persino per le autorità sanitarie e per gli ospedali. Sul piano normativo le cose non andavano meglio. Lo stato di emergenza nazionale era stato proclamato il 31 gennaio, ma la prima circolare ministeriale per le Rsa fu diramata solo a fine febbraio. Non c’è da stupirsi se i vertici delle strutture, quando sono stati interrogati, hanno messo a verbale dichiarazioni fotocopia: “Ci siamo sempre attenuti alle disposizioni in vigore”. Esistono degli ostacoli anche sul piano del diritto. La Cassazione, per esempio, ha più volte ripetuto che per arrivare a una condanna per epidemia colposa non basta una “condotta omissiva”. Lo scudo penale inventato dal governo Conte, poi, ha messo altri paletti. Ed è praticamente impossibile, infine, ricucire il filo dei singoli casi di morte: è stato veramente il Covid a provocare il decesso del paziente? In quel periodo di autopsie non se ne facevano. C’era chi affermava che fossero inutili. Il Ministero della Salute, con indicazioni definite “di buon senso” dai magistrati, raccomandava di evitarle se non potevano essere prese misure che scongiurassero il rischio di contagio per gli operatori. Anche volendo procedere a tutti i costi, in Piemonte non c’erano sale settorie adeguate.

Solo nei primi quattro mesi del 2020 il numero di decessi nelle Rsa piemontesi risultò maggiore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente di ben 600 persone. Erano stati, quelli, i mesi della strage di anziani nelle case di riposo dove il Covid era entrato e, quasi sempre, senza trovare barriere aveva mietuto decine di vittime ogni giorno. Dispositivi di protezione individuale carento o del tutto assenti, regole ancora tutte da scrivere, personale impreparato ad affrontare un virus di cui si sapeva poco o nulla e che trovava nelle persone più fragili le sue vittime che, una volta contagiate, quasi sempre non avevano via di scampo. Focolai che scoppiavano all’improvviso, come quello di Tortona, uno dei primi, passato alle cronache per l’intervento dell’allora capo dell’Unità di Crisi Mario Raviolo con tuta protettiva e autorespiratore.

La strage sarebbe proseguita per mesi, sia pure affievolendosi in concomitanza con l’adozione di criteri sempre più stringenti, come la chiusura totale della strutture alle visite di parenti degli ospiti. Quantificare il numero esatto degli anziani e dei disabili morti a causa del Covid nelle Rsa si è da subito rivelata un’impresa non facile, tant’è che lo scorso febbraio in piena terza ondata i carabinieri del Nas su disposizione della magistratura inviarono alle 170 strutture della provincia di Torino una serie di domande volte a definire il perimetro delle indagini su responsabilità, omissioni ed errori commessi nelle Rsa a partire dall'esplosione dell'emergenza fino a dicembre 2020.

Cinque le voci del questionario: il numero di ospiti positivi, il numero di pazienti deceduti, il numero di pazienti deceduti per Covid, il numero di personale sanitario positivo, il numero di tamponi eseguiti tra il personale e i pazienti. Oggi a oltre sei mesi di distanza la Procura ha stabilito che non ci fu colpa da parte di gestori e operatori di quelle strutture.

Una decisione che va in direzione diametralmente opposta a quelle assunte da altre procure sempre sulla stessa ipotesi di reato. Lo scorso luglio la procura della Repubblica di Vercelli aveva chiuso le indagini sulle morti nella casa cittadina, dove nella prima ondata della pandemia, tra marzo e aprile 2020, c'erano stati oltre 45 decessi tra gli anziani ospiti, e aveva chiesto il rinvio a giudizio di cinque persone. Tra le ipotesi di reato: l'omicidio colposo e l'omissione di atti d'ufficio. L'inchiesta dell'ex pubblico ministero di Vercelli Davide Pretti, avviata nella primavera scorsa, era stata ereditata dal pubblico ministero Carlo Introvigne, che ne aveva riformulato l'ipotesi, facendo cadere quella di reato di epidemia colposa, mantenendo gli altri capi di imputazione. 

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