RETROSCENA

Piemonte bellissimo, per Damilano.
Ma non piace al centrodestra

L'aspirante sindaco mostra di non aver ancora elaborato la sconfitta e fatica a ritagliarsi un ruolo in Sala Rossa. Opposizione al traino dei partiti e a colpi di slogan sui social. Ha già la testa altrove: in Regione, il suo primo amore, dove però i partiti non lo vogliono

Tre mesi per scoprire che una leadership non spetta di diritto, ma va conquistata sul campo. Cento giorni per accorgersi di come sia difficile esercitare quel ruolo di capo dell’opposizione, cui sarebbe naturalmente investito, se gli alleati di qualche mese fa hanno mostrato di padroneggiare meglio la materia, ovvero la politica.

È già tempo di bilanci e, probabilmente, di correzione della rotta per Paolo Damilano. Nell’attesa di smettere le gramaglie della sconfitta sembra preferire parlare attraverso i social più che in atti e dichiarazioni in Consiglio comunale. Magari fantasticando di progetti faraonici (e irrealizzabili, come quello di Elon Musk in Turchia) nella convinzione che pensare in grande significhi spararla grossa. Nello stesso giorno in cui affida a Facebook il grido di allarme e dolore su una Torino “che perde attrattività e investimenti” resuscitando uno dei tormentoni della sua campagna elettorale – “C’è da fare” – nel centrodestra lo si canzona: “Probabilmente aveva da fare altro”, giacché il suo scranno è rimasto vuoto. Coincidenza forse, certo l’uomo voluto dalla Lega (con forse qualche resipiscenza tardiva) quale candidato sindaco non brilla per presenze sia in aula sia nelle commissioni. Tantomeno mostra di utilizzare (non si dice al meglio, ma almeno usare) il più corposo gruppo politico di minoranza (cinque consiglieri) che ha portato con la sua Torino Bellissima in Sala Rossa e che adesso sembra una pattuglia dell’8 Settembre. Mentre gli altri partiti della sua (ex?) coalizione, dalla Lega a Forza Italia passando per Fratelli d’Italia, certo più “mestierati” dei neofiti bellissimi e del loro leader hanno già aperto canali di comunicazione diretta col il sindaco Stefano Lo Russo e con la sua maggioranza, com’è uso fare specie sulle partite delle nomine e su altro ancora e come non scandalizza nessuno.

In questo scenario il gruppo di Torino Bellissima appare senza regia, senza strategia. Sarà anche per questo che, negli ultimi tempi, lungo i corridoi di Palazzo di Città si rincorrono rumors che riguardano un paio di eletti nella lista dell’imprenditore acqua&vino, si parla del cardiochirurgo Pietro Abruzzese e dell’ex forzista Pino Iannò, che pare si stiano muovendo con una certa autonomia. Neppure la buona volontà di Pierlucio “Pilu” Firrao, allo stato attuale uno dei pochi che prova a interloquire con la giunta, riesce a sopperire a quelle carenze oramai manifeste ed emblematicamente rappresentate da Damilano, Silvia, la cugina. Non ci vuol molto, con una situazione del genere nel maggior gruppo di minoranza, per capire come gli altri pur con numeri più esigui, ma maggiore esperienza di navigazione, possano trovare praterie. E pensare che proprio al suo sfidante si era rivolto Lo Russo, appena eletto, offrendogli l’opportunità di diventare l’interlocutore privilegiato di sindaco e maggioranza. Ha preferito seguire leghisti e meloniani fuori dall’Aula, dando la raffigurazione plastica di essere l’ultima ruota di un carro guidato da altri.

Altri spazi, più ampi di quelli forse per lui troppo angusti della Sala Rossa, muovono le ambizioni di Damilano? Mire o velleità non nascoste con la registrazione, a suo tempo, dei brand figli di quello con cui si è presentato ai torinesi, “Italia Bellissima” e “Piemonte Bellissimo”. La prima, da giocarsi a livello nazionale, sembrerebbe desinata a rimanere nel cassetto dei sogni, giacché lo stesso imprenditore dalle vaste relazioni, comprese quelle coltivate nella sua ancora breve avventura politica, si sarebbe reso conto che anche quegli ipotetici assi o reali legami con figure come il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro o quello di Genova Marco Bucci, passando per il governatore ligure Giovanni Toti si scontrano con la dura realtà: loro hanno vinto, lui ha perso.

Meno aleatoria l’eventualità di vedere sui manifesti, di qui a un paio d’anni, il brand “Piemonte Bellissimo”. Una prospettiva, quella regionale, assai più vicina e consona per l’imprenditore, quasi si direbbe un ritorno di fiamma ripensando al periodo in cui aveva cercato di contendere la candidatura ad Alberto Cirio e aveva, altresì, alimentato ipotesi e speranze in una parte del centrodestra che poi avrebbe “rimediato” con le comunali.

Galoppando di immaginazione c’è chi intravvede un Piemonte Bellissimo contenitore civico del centrodestra in cui s’accaserebbe il presto o tardi apolide quale potrebbe diventare Cirio, dato sempre meno lontano dal considerare conclusa con il primo mandato la sua avventura alla guida del Piemonte. Scenario assai improbabile, come spiegano nella nomenclatura del centrodestra dove gli altalenanti giudizi di Damilano fino a ridosso delle elezioni sono ancora una ferita che brucia e qualcosa che gli impedirebbe di ritentare la strategia emersa con evidenza – tenere da parte i partiti come appestati salvo poi accusarli di aver fatto non abbastanza – proprio nella sua prima prova sul teatro della politica. Una prova che, aldilà del risultato negativo, proprio per quegli atteggiamenti – un po’ naif un po’ parvenu – pesa su Damilano, non riconosciuto oggi come leader dell’opposizione in Comune, tantomeno king maker domani in Regione. Un risultato ottenuto in meno di tre mesi. E se gli sembran pochi, in questo caso, non sbaglia.

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