UFFICI & CORSIE

"Troppe scartoffie e posti inutili,
ora cambiare passo nella sanità"

Severo richiamo dell'infettivologo Di Perri a Cirio nel giorno in cui si "festeggia" la fine dell'emergenza Covid. "Il sistema da anni sta scivolando pericolosamente su un piano inclinato". Il difficile rapporto tra medicina ospedaliera e del territorio

“Nella sanità ci sono figure inutili, di tante cose non abbiamo bisogno, è solo carta. Questa giunta deve raddrizzare un piano inclinato su cui da molti, troppi anni la sanità sta scivolando”.

Nella conferenza stampa di celebrazione della fine dello stato di emergenza dove, pur con il doveroso avvertimento del presidente della Regione – “Il Covid non scompare per decreto” – tra ringraziamenti infiniti e un’aria di riconquistata normalità mancavano solo tartine e prosecco, il boccone tanto amaro quanto incontrovertibilmente concreto e vero lo offre, con sintesi ed autorevolezza, Giovanni Di Perri.

Il direttore di Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia in questi due anni di pandemia ha abituato a prese di posizione dirette e concetti chiari. Non delude neppure nel giorno in cui l’aria sembra quella dell’ultimo giorno di scuola, anche se nessuno sa quel che potrà succedere a settembre. Il richiamo del primario è forte e diretto a chi ha gestito due anni che definire difficili è poco, ma che da questo tunnel non può consentirsi il lusso di uscire senza, appunto, incominciare subito a raddrizzare il piano inclinato su cui sta la sanità, non solo del Piemonte, ma è di questa che il governo regionale è chiamato ad occuparsi. Alberto Cirio, lesto risponde “lo abbiamo già raddrizzato” e forse rassicura un po’ troppo.

Quello di Di Perri non è un atto di accusa, ma un richiamo da parte di chi nel sistema sanitario piemontese opera da più di vent’anni “e da quando sono arrivato ho visto tutte le giunte regionali tagliare servizi importanti del sistema ospedalieri, lasciando invece di fatto indenne – come spiega a margine della conferenza stampa – un ambaradan amministrativo e burocratico che non serve a nulla”. 

La lezione, spesso purtroppo tragica, impartita dal Covid per l’infettivologo, primo piemontese a sottoporsi al vaccino anche in quell’occasione con un messaggio chiaro e forte, è anche quella che riguarda l’importanza degli ospedali. “Il nostro Paese, la nostra regione, hanno una popolazione per fortuna molto anziana e gli anziani hanno bisogno degli ospedali, ma non solo loro. La tendenza di portare tutto sul territorio, fuori dagli ospedali è una lettura distorta del problema. Quando sono arrivato, una ventina d’anni fa, c’erano trecento letti di malattie infettive, ora ce ne sono la metà. Che questo andazzo sia proseguito, con tutte le amministrazioni regionali, è un aspetto di cui tenere conto e a cui porre rimedio come ci ha insegnato anche il Covid. Io vorrei restituire alla sanità le percentuali di spesa per l’assistenza che l’Italia aveva negli anni Sessanta”.

Non è un mistero che la pandemia si arrivata trovandosi di fronte un sistema sanitario dove, da anni e a dispetto di proclami fatti da ogni assessore che è stato in corso Regina, la proporzione tra personale amministrativo e sanitario è una sproporzione.

I parametri fissati dal Patto per la Salute dell’allora ministro Beatrice Lorenzin facevano emergere questa anomalia in Piemonte, ma nulla si è fatto. Neppure per far tornare nei reparti quei dipendenti assunti per stare in corsie e per un motivo o per l’altro, spesso con l’avvallo (talvolta pure di più) dei sindacati sono finiti negli uffici. Direzioni sanitarie pletoriche in fatto di impiegati e quadri, con i reparti al contrario via via impoveriti di medici e infermieri. “Di tante cose non abbiamo bisogno. Abbiamo uffici per la privacy, per le strategie del personale, per la qualità e via così… Basta”. E piano si inclina sempre di più. Sopra c’è il problema di rafforzare la rete ospedaliera, pur senza affatto tralasciare la medicina del territorio, anzi. “Se il territorio funziona e ci sono ottimi medici, colleghi straoridnari, che fanno benissimo il loro lavoro, gli ospedali hanno meno accessi – osserva Di Perri – ma se invece la medicina di base viene ridotta a un ricettificio, allora il sistema non funziona”.

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