Morale, diritto e macchina del tempo

Da due mesi le immagini della guerra in Ucraina ci inseguono incessantemente. Sparito il virus è arrivata la guerra nel continente europeo. Questa riflessione non vuole essere un’analisi prettamente politica su quanto sta succedendo, piuttosto un taglio di lettura “drammaturgico” e “narrativo” su come sono stati presentati finora gli eventi. Da sempre le arti accompagnano i fatti politici, e militari. Sia come denuncia, per esempio il famoso Guernica di Pablo Picasso, sia come propaganda. Schiere di artisti vengono arruolati per la loro destrezza con note, penna o pennello.  Si compongono marce e canzoni militari; si disegnano poster, loghi e simboli; si scrivono discorsi iperbolici dal forte contenuto emotivo. Il tutto a favore della cosiddetta “giusta causa” che in uno scontro bellico, occorre ricordare, è semplicemente quella di chi vince. Soprattutto, in questo ventunesimo secolo niente conta di più che le immagini. È il secolo dei videomaker, dei giornalisti embedded, dei reporter improvvisati. Le immagini impressionano, emozionano, scandalizzano ed arrivano immediate, senza filtri direttamente sui nostri smart-phone. E qui possiamo già notare che in questa guerra in Ucraina prevalgono due cose. Innanzitutto, una censura totale della parte avversaria per non permettere di inquinare menti e cuori. In secondo luogo, un bombardamento continuo a livello narrativo ed emotivo del fatto che la propria parte è “moralmente” dalla parte giusta della storia. Dovendo fare un crudo riassunto, in Occidente il ventunesimo secolo è quello dove la morale prevale sul diritto. Questa confusione tra morale e diritto sembra essere un male quasi sconosciuto nelle altre grandi civiltà: cinese, indiana, araba, turca, persiana e anche russa, occorre ricordare che anche quella russa è una grande civiltà.

Il risultato finale di questa confusione è la mancanza di utilizzo della logica e della razionalità, sostituita da un semplice sentimentalismo che chiama all’azione senza valutarne le conseguenze. L’invasione dell’Iraq? Un atto di giustizia di fronte al male assoluto. La Libia? Un imperativo morale per salvare un paese da un pericoloso dittatore. La Siria? Un giusto intervento per contrastare un governo autoritario e malvagio. Si badi bene, non sono giudizi, sto solo cercando di dire che la politica occidentale del ventunesimo secolo è diventata prigioniera di una mentalità “moralista” che impone qualunque azione al di fuori di ogni fredda analisi della realtà.

Con la guerra in Ucraina Vladimir Putin ci ha brutalmente teletrasportato nel diciannovesimo secolo. Un secolo dove predominava un ordine mondiale multipolare i cui protagonisti erano principalmente paesi Europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Russia) e dove prevaleva la cosiddetta politica di “equilibrio di potenze”. La maggior parte dei commentatori italiani nei primi giorni di scontro ha sottolineato che Putin è un pazzo (Enrico Letta), un maiale (Luigi Di Maio), Adolf Hitler (Mario Draghi). Sono uomini del ventunesimo secolo. Non riescono a pensare che al di sopra delle grandi potenze regna solo l’anarchia e che, come diceva Kant nel suo libro “Per la pace perpetua” se le relazioni tra le nazioni non sono animate dalla razionalità queste vengono attratte naturalmente verso la guerra così come la gravità attira i corpi verso terra.

Prendiamo per esempio la seguente frase: “Restaurare il Regno di Polonia in qualsiasi forma equivale a creare un alleato per qualunque nemico ci voglia attaccare... dobbiamo distruggere i Polacchi fino a quando, una volta persa ogni speranza, si accascino e muoiano; ho una gran simpatia per la loro situazione, ma se dobbiamo sopravvivere non abbiamo nessun’altra scelta se non spazzarli via”. Si tratta di una dichiarazione pronunciata dal cancelliere prussiano Otto Von Bismarck. Per gli uomini del diciannovesimo secolo un grande statista. Per quelli occidentali del ventunesimo secolo un semplice malato di mente bisognoso di cure immediate. Oppure questa: “La somma delle flotte delle due potenze più grandi in Europa non deve mai superare le dimensioni di quella britannica. Non possiamo permettere che nessuna potenza diventi egemone nell’Europa continentale. Oggi questa potenza è la Germania ma se domani dovesse divenire la Francia dichiareremo guerra alla Francia”, attribuita a Winston Churchill quando cercò di convincere il gabinetto di Lloyd George a dichiarare guerra alla Germania nel 1914 portandosi dietro Canada, Nuova Zelanda, Australia in un conflitto che fece 20 milioni di morti e dalle cui ceneri nacquero comunismo e nazismo.

Vladimir Putin con l’“operazione militare speciale” in Ucraina ci ha portato tutti su una macchina del tempo indietro di due secoli. Vi è da dubitare che affrontare questa sfida in modo puramente emotivo e sentimentale perché pensiamo di essere dalla parte “moralmente” giusta risolverà alcunché. Anche perché il resto del mondo non vede la realtà come la vedono gli occidentali. Per le élite e le popolazioni di questi paesi la nostra mentalità moralista appare fuori dalla razionalità e spesso fa orrore. Visto dal loro punto di vista l’Occidente appare come narcisista, individualista, edonista, nichilista e in ultima analisi anche pericoloso; più portatore di caos che di equilibrio. Stiamo parlando della maggior parte dell’umanità e di potenze economiche emergenti o affermate. Tra queste: India, Arabia Saudita, Iran, Brasile, Sud Africa, Indonesia, Vietnam e persino la Turchia che sta riscoprendo orgoglio nazionale e volontà di potenza. In cima vi è la Cina; il futuro avversario degli Usa “alla pari” e che prima o poi sarà tentato a sfidare lo status quo per affermarsi come potenza egemone mondiale. Un avversario che calcola ogni mossa con cautela, fredda logica e razionalità. Un’altra grande potenza retta da uomini del diciannovesimo secolo.

*Tom Corradini, Società Libera

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