La politica e il pensiero

Nei giorni in cui si ripercorre il magistero politico ed istituzionale di Ciriaco De Mita, recentemente scomparso, emerge in modo abbastanza unanime che la stagione contemporanea è ancora caratterizzata dalla scissione tra la politica e la cultura. Ovvero, “tra la politica e il pensiero”, per citare le parole care all’ultimo grande democratico cristiano. E, probabilmente, proprio in questa dissociazione risiede la crisi strutturale in cui versa la politica italiana dopo la sbornia populista e demagogica di matrice grillina. Certo, l’irruzione del populismo e antipolitico del partito dei 5 stelle con un consenso di un italiano su tre nelle elezioni del 2018 – oggi fortunatamente e seccamente ridimensionato – ha sconvolto i meccanismi della politica tradizionale e, soprattutto, ha messo in profonda crisi gli istituti cardini della democrazia come avevamo sino a quel momento conosciuto. E tra questi elementi costitutivi c’è, indubbiamente, la rimozione di qualsiasi cultura politica sostituita, per dirla con l’indimenticabile Mino Martinazzoli, dal “nulla della politica”. Come l’esperienza concreta politica e di governo ha platealmente confermato e consolidato. Anzi, per dirla tutta, sono subentrati altri disvalori che hanno caratterizzato quest’ultima legislatura: fra i tanti, il trasformismo politico e l’opportunismo parlamentare. Due disvalori, due derive, che hanno scientificamente impoverito e ridicolizzato la politica, i partiti, la classe dirigente e anche, e soprattutto, le radici etiche della nostra democrazia. E le culture politiche, per ritornare al “pensiero”, sono state letteralmente azzerate perché il cosiddetto “nuovo corso” della politica non tollerava affatto la presenza di riferimenti ideali per il semplice fatto che il passato andava letteralmente distrutto e raso al suolo.

Ora che abbiamo potuto costatare e registrare, senza alcun pregiudizio personale o politico, il sostanziale fallimento dell’impianto antipolitico, demagogico e populista, la vera sfida resta quella di recuperare le fondamenta culturali e costituzionali della politica contemporanea. Ovvero, il ruolo e la funzione dei partiti, l’importanza delle culture politiche riformiste e democratiche, la valenza della classe dirigente e, in ultimo, la rappresentanza sociale e territoriale di chi si impegna nella lotta politica. Insomma, si tratta di archiviare definitivamente la squallida e triste parentesi populista e far sì che la politica ritorni protagonista con i suoi istituti, le sue modalità organizzative e le regole democratiche che la disciplinano e la arricchiscono.

Ecco perché, per ritornare a De Mita, “la politica non può mai dissociarsi dal pensiero”. E questo perché quando si verifica questa incresciosa situazione, entrambi i campi finiscono per entrare in profonda crisi. Innanzitutto, la politica perché si riduce ad essere una mera lotta per il potere fine a stesso senza alcuna valenza progettuale, o culturale, o strategica o di prospettiva. Appunto, solo una politica pragmatica, avaloriale, arida e sterile anche sotto il profilo dei contenuti. E, in secondo luogo, la scomparsa del “pensiero” rischia di distruggere le stesse fondamenta ideali della nostra democrazia e del nostro vivere civile. E su questo versante, al di là del giudizio che ognuno di noi può avere della lunga esperienza politica e di governo di Ciriaco De Mita, non si può non essere d’accordo. E cioè, la politica se vuol essere credibile, seria ed autorevole non può mai dissociarsi o slegarsi dal “pensiero”. Cioè da una cultura politica di riferimento.

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