SANITÀ

Così il Piemonte dà una mano e tanti soldi alla sanità, lombarda

Il limite posto alla strutture accreditate frena la mobilità attiva e favorisce le altre regioni (che non lo applicano). Ogni anno da Piazza Castello partono oltre 80 milioni verso il Pirellone. I privati non firmano l'accordo e minacciano l'impugnazione

Il Piemonte chiude le frontiere della sanità, ma solo in entrata. Da anni ogni giunta regionale scrive pagine del suo cahier de doléances sulla mobilità passiva lamentando quella continua migrazione verso ospedali e cliniche di altre regioni, in primis la confinante Lombardia, cui non corrisponde affatto nei numeri l’esatto contrario, ovvero la mobilità attiva, data dai residenti al di fuori del Piemonte che si rivolgono alle sue strutture. Per capire di che si tratta e quanto costa questo divario basta pensare che ogni anno dalle casse della sanità piemontese escono più di un’ottantina di milioni diretti alla Lombardia. Con quei soldi si potrebbe gestire un ospedale di provincia.

Ecco, di fronte a una situazione che si protrae da anni la Regione decide di cambiare passo rispetto a quanto avvenuto fino ad oggi. Ma, al contrario di quanto verrebbe logico pensare, non allargando la strada ai pazienti di altre regioni, bensì ponendo per la prima volta un blocco alle strutture private accreditate all’erogazione di prestazioni a non residenti in Piemonte. 

È questa inattesa e mai applicata misura ad aver fatto saltare la trattativa per il contratto 2022 tra Regione e sanità privata, con le associazioni rappresentanti del settore che hanno deciso di non firmare l’accordo, mettendo in conto la concreta possibilità di ricorsi per impugnare la delibera la cui approvazione è prevista in una delle prossime riunioni della giunta. Dunque non sulle tariffe, ma sulla possibilità sempre concessa fino ad oggi di poter curare pazienti di altre regioni senza comprenderli nel limite del budget fissato dal contratto, si è consumato lo strappo che ha visto AiopAris e Acop negare la firma sul contratto proposto dall’assessore Luigi Icardi.

“Appare a dir poco strano che la Regione rinunci a incassare soldi da altre regioni e quindi a ridurre il suo debito che ogni anno paga, soprattutto alla Lombardia”, osserva Giancarlo Perla, presidente di Aiop, la sigla che riunisce la quasi totalità delle strutture private “laiche” (mentre Aris rappresenta quelle di carattere religioso). Le cure, le visite e gli interventi fatti in regime di accreditamento, ovvero nell’ambito del servizio sanitario, dai privati a non residenti in Piemonte vengono pagati dalla Regione, ma poi rimborsati dalla sanità della regione di residenza del paziente. “Noi non abbiamo chiesto di avere subito i pagamenti, eravamo disposti ad attendere i due anni previsti per i rimborsi da Regione a Regione, così come abbiamo ribadito l’assoluto impegno a ridurre le liste d’attesa e a rispettare la priorità per i piemontesi, però abbiamo anche chiesto – spiega Perla – di poter lavorare come fatto finora, accogliendo nelle nostre strutture pazienti non residenti”.

Come accade, appunto, in tutte le altre regioni. L’aver inserito nel budget le prestazioni per chi abita al di fuori del Piemonte e quindi bloccando le prestazioni stesse al superamento del limite fissato dal contratto, per il presidente di Aiop “pone il Piemonte in fortissimo svantaggio verso altre regioni, impedisce a noi operatori privati di offrire servizi che siamo in grado di fornire senza penalizzare i piemontesi e, non da ultimo, vanifica la concreta possibilità per la Regione di ridurre il suo debito, soprattutto verso la sanità lombarda che, come le altre, non mette alcun limite”.

Clima teso quello tra corso Regina e i privati. “Il Piemonte continua a non avere un progetto concreto per ridurre la mobilità passiva e i costi che da essa ne derivano. Questa ulteriore e incomprensibile decisione peggiorerà ulteriormente la situazione”, spiega Perla, in perfetta sintonia con il suo omologo dell’Aris Josè Parrella nel rifiuto di sottoscrivere quello che definiscono “un atto unilaterale che modifica un contratto biennale in essere senza la nostra approvazione. Atto che ci auriamo possa ancora essere oggetto di ripensamento”.

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