POLITICHE 2022

Il Terzo polo è quarto, Renzi e Calenda bene ma non benissimo

Azione non ruba voti a Forza Italia bensì al Pd e alla fine il grande centro è piuttosto small. Draghi non fa breccia nel cuore degli elettori. Male al Sud dove ora Carfagna si ritrova sul banco degli imputati. Una pattuglia di una trentina di parlamentari

Bene, ma non benissimo. Il 7,8% ottenuto dalla lista Azione-Italia Viva relega la formazione guidata da Carlo Calenda al ruolo di “quarto polo”. L’obiettivo della doppia cifra si raggiunge solo con la virgola in mezzo e la medaglia di bronzo, in questa tornata elettorale, spetta al Movimento Cinque Stelle. Un cartello elettorale assemblato in fretta e furia dopo la giravolta con cui l'ex capo del Mise ha abbandonato Enrico Letta al suo destino e per questo, forse, percepito dagli elettori di centrodestra tutto sommato come un'appendice di Pd e alleati.

Il pariolino Calenda, che alle amministrative nella Capitale aveva sorpreso tutti ottenendo il 20%, si ferma al terzo posto nel collegio di Roma centro, subito dietro all’ex alleata Emma Bonino e alla vincitrice Lavinia Mennuni, candidata del centrodestra. Un vero e proprio smacco per l'ex ministro che sperava di prosciugare Forza Italia (che tiene oltre le aspettative con l'8,3%). Il partito di Silvio Berlusconi è riuscito a fermare l'assalto e il duo Renzi-Calenda per ora deve rinunciare al ruolo di ago della bilancia della legislatura. Fallito il sogno di riportare Mario Draghi a Palazzo Chigi, i centristi faranno i conti con la realtà: l’ex governatore della Bce non ha fatto breccia nel cuore degli italiani. È stimato, apprezzato, i più gli riconoscono competenza, viene persino applaudito in pubblico (come è successo ieri al suo arrivo al seggio) ma il suo rigore intimorisce, quasi ci mettesse di fronte a quel dover essere di cui non siamo capaci. Certo, c'è in ballo la volontà popolare, il primato della politica, la fine della stagione dei tecnici. Tutto vero, anche se solo in parte spiega un risultato al di sotto delle aspettative di chi ha provato a intestarsi il metodo, anzi l'agenda Draghi.

I centristi, al di là dell’ottimo risultato conquistato a Milano città (così come a Roma e a Torino), non sfondano a livello nazionale. Se il M5s ha il suo fortino di voti nel Sud Italia, Azione e Italia Viva vanno in doppia cifra nel Centro-Nord. Da Roma in giù è un disastro e sul banco degli imputati ci finisce anche la ministra Mara Carfagna, responsabile di un contestato scouting tra Puglia e Campania. Insomma, in attesa di una dettagliata analisi dei flussi elettorali, pare emergere con chiarezza come l’ormai Quarto polo abbia corroso una fetta di consenso riformista al Pd e in parte persino alla Lega, senza riuscire a penetrare nei berluscones, malgrado l’abbondante campagna acquisti di Calenda tra le fila azzurre. Alla fine dovrebbero riuscire a portare 21 deputati e 9 senatori.

Lo spazio però c'è, almeno questo è quanto scommettono Renzi e Calenda. E nonostante i tentativi precedenti non siano incoraggianti. Come si ricorderà nel 2013 Mario Monti scese in campo con Scelta Civica, alleato dell’Udc e di Fli, Futuro e Libertà per l’Italia di Gianfranco Fini. L’esperimento centrista abortì presto, tanto che l’ex premier lasciò ben presto il partito che aveva fondato e l’ex presidente della Camera lasciò la politica, eppure il Terzo Polo montiano superò il 10% alla Camera (al Senato si fermò al 9%). Un risultato assai modesto considerando che il leader era presidente del Consiglio uscente  e che, alla vigilia, era accreditato dai sondaggi del 25%. Oltre al suo profilo di grand commis, è probabilmente anche questo precedente ad aver spinto Draghi a tenersi ben lontano dalla tentazione di candidarsi. Ma Draghi in questa storia è il marziano di Flaiano.

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