SANITÀ ALLO SBANDO

Pronto Soccorso a gettone. Emergenza in mano alle coop

La carenza di personale interno ha aperto praterie per chi fornisce professionisti. Costi da 900 a 1.400 euro a turno che le Asl imputano al capitolo "beni e servizi". Ma la responsabilità ricade sempre sui primari. De Iaco (Simeu): "Siamo agli intermediari di manodopera"

“Dietro alla cooperative che forniscono medici ai Pronto Soccorso, che a ben vedere poi cooperative spesso non sono, molte persone si stanno arricchendo in maniera notevole. Sull’altro fronte i primari rischiano di essere chiamati a rispondere di fatti su cui, purtroppo, sanno bene di non poter incidere come dovrebbero”.

Benvenuti (si fa per dire) nel mondo di mezzo della sanità, in quella terra di nessuno che la carenza di specialisti negli organici degli ospedali ha rapidamente trasformato in praterie dove prosperano gli affari di chi, evitando stucchevoli giri di parole e ipocrite definizione della burocrazia, esercita una sorta di intermediazione di manodopera, sia pure in camice bianco. 

Fabio De Iaco, primario di Pronto Soccorso a Torino, è il presidente nazionale nazionale di Simeu, la Società italiana di medicina di emergenza e urgenza. Vive direttamente sul campo e sul fronte della categoria una situazione che, come nel resto del Paese, in Piemonte ormai ha assunto dimensioni a dir poco invasive, con episodi degni di preoccupazione. E pure di un’attenzione che non sempre è emersa, nella maniera attesa, da parte dei vertici di molte aziende sanitarie. Il caso della dottoressa che nonostante la sospensione disposta nei suoi confronti dall’Ordine dei medici era stata inserita nei turni per i Pronto Soccorso degli ospedali dell’Asl di Alessandria, dopo aver esercitato per conto della stessa cooperativa al Dea di Novi Ligure senza che nessuno se ne sia accorto, tantomeno abbia eseguito dei controlli, è venuto alla luce solo per uno scrupolo da parte di un paio di medici dell’ospedale di Acqui Terme, dove la professionista era attesa. 

La punta dell’iceberg dove rischia di schiantarsi il Titanic della sanità, mentre c’è chi continua a ballare. Dottor De Iaco, questo ricorso alle cooperative per coprire oggettive carenze di professionisti dove porta la sanità?
“Ormai siamo di fronte a una delega totale del servizio sanitario nazionale a delle aziende di intermediazione di manodopera, che stabiliscono loro gli standard, in non pochi casi provvedono alla formazione in autonomia guadagnandoci e alla fine fanno lavorare i medici, reclutati ormai in chat o su canali come Telegram”.

Medici non sempre, anzi spesso, senza la specializzazione in emergenza e urgenza richiesta al personale dipendente. Professionisti non di rado attempati e ben oltre l’età della pensione, camici bianchi che il camice lo hanno indossato di rado improntando la loro carriera a consulenze medico-legali che, oggi, attratti dai lauti guadagni rispondono agli appelli della cooperative e viaggiano dal Nord al Sud del Paese e viceversa. Pendolari un giorno qui un giorno là, ma i primari che ricevono questo tipo di aiuto quanto potere decisionali hanno e quanto rischiano in caso capiti il guaio?
“Il primario è il responsabile del buon andamento del suo reparto e ha anche il compito di dare degli indirizzi specifici dal punto di vista gestionale, clinico, organizzativo. Ormai il lavoro in pronto soccorso è un lavoro complesso. Prendiamo il caso di un ictus, dove è spesso necessario un rapidissimo ricorso a un centro di secondo livello, come sono nel caso di Torino il San Giovanni Bosco e le Molinette. Come fa un medico arrivato all’ultimo minuto per fare il turno, magari di notte, a conoscere queste procedure, i contatti necessari. Ecco, se capita qualcosa, il responsabile è il primario, che spesso quel medico di turno neppure conosce o magari non è riuscito a farlo cambiare dal turno”. 

Lei prospetta uno scenario a dir poco preoccupante. Possibile che di fronte a questo i vertici delle aziende sanitarie non sappiano fare altro che porre di fronte all’alternativa di lasciare scoperti i turni e quindi chiudere i servizi?
“La questione della responsabilità la stiamo ponendo da tempo. Nel momento in cui si liberalizza l’accesso al pronto soccorso di qualsiasi professionista, le conseguenze sono da rivalutare completamente. In questo momento avremmo bisogno di un atteggiamento e delle norme aggiornate e invece ciò non accade. Gli interni debbono avere la specializzazione, con le coop arriva la qualunque e non c’è nessun controllo, come denunciamo da tempo. Però è il primario che deve in primis rendere conto delle cose che non vanno”.

Par di capire, però, che i primari abbiano poche armi spuntate. Addirittura nei loro confronti in alcune Asl vengono inviati messaggi neppur troppo velati di non creare problemi sollevando legittime perplessità o segnalando eventuali possibili inconvenienti nei servizi forniti dalle cooperative.
“C’è un meccanismo non sempre osservato che prevede l’invio preventivo dei curriculum dei medici e il primario dovrebbe avere il potere di rifiutare chi non ritiene adeguato, ma questo è molto teorico rispetto alla gestione delle Asl. Oppure, come è successo anche a me, quando arriva un medico che si dimostra inefficiente il primario può dire alla cooperativa che quel professionista non lo vuole più. Però bisogna vedere anche se questo viene scritto sui contratti fatti dalle aziende con chi fornisce il servizio”. 

Il problema della mancanza di medici ospedalieri è oggettivamente grave, si può intravvedere una soluzione oppure la prospettiva è quella di appaltare i servizi alle cooperative?
“Intanto un dato: lo stipendio medio di uno specialista dipendente è intorno ai 75mila lordi, facendo un po’ di calcoli con quello che un professionista prende lavorando con le cooperative, quel medico dipendente per stare allo stesso stipendio dovrebbe smettere di lavorare ad aprile. C’è un mercato drogato. La soluzione di un tetto per i gettonisti è stata proposta, ma da questa situazione se ne esce con una profonda riforma. Teniamo, poi, presente che quei soldi che dalle Asl vanno alle coop non gravano sulla voce personale, bensì su beni e servizi come fosse l’appalto per la mensa o la lavanderia. Questo configura una grande menzogna. Il tetto di spesa per il personale è fissato al 2014 e i bilanci delle aziende devono osservare questa norma, ma questo succede proprio perché i costi delle coop finiscono alla voce beni e servizi”. 

Lo ritiene normale?
“Credo che prima o poi verrà chiesto conto di questo. Se tutti questi soldi venissero riversati negli stipendi l’attrattività cambierebbe, la situazione sarebbe meno grave e nei Pronto Soccorso, così come negli altri reparti, ci sarebbe personale adeguato, specializzato e gestito in maniera tale da formare quel team affiatato che certo non può esserci con medici che arrivano all’ultimo minuto per coprire il turno, oggi qui domani chissà dove”.