POLITICA & GIUSTIZIA

Caso Giordano, Costa: "Penalizzare il pm se fa appelli temerari"

Impedire i ricorsi dopo un'assoluzione in primo grado è impossibile. Però un modo per scoraggiare gli accanimenti giudiziari c'è: "Se la tesi accusatoria si rivela ancora una volta errata, questo deve pesare sulla valutazione del magistrato", afferma l'esponente di Azione

Inchieste roboanti incominciando dal brutto vezzo (di magistrati e investigatori) di battezzarle con l’acqua della colpevolezza, processi su processi, anni di gogna giudiziaria e, di conserva, mediatica. E poi, finalmente l’assoluzione. Tre giorni fa ad essere totalmente prosciolto dalle accuse che i pubblici ministeri definivano granitiche è stato l’ex presidente della Regione Calabria Mario Oliverio. Non aveva distratto i fondi del Festival dei Due Mondi di Spoleto come sosteneva l’accusa, ma intanto la sua carriera politica è stata azzoppata da quel “pregiudizio accusatorio”, per usare il termine della Cassazione.

Oggi è toccato ad un altro politico, in Piemonte. Massimo Giordano in passato assessore regionale e prima ancora sindaco leghista di Novara, ha dovuto aspettare dieci anni per vedere riconosciuta la sua totale innocenza in appello, oltre che in primo grado, a causa del ricorso della procura. Lo avevano accusato di corruzione e di aver scambiato favori, lui amministratore pubblico, con alcuni imprenditori. Nulla di vero, ma ci sono voluti due lustri e una tempra, risorse fisiche ed economiche, che non tutti hanno. 

Pane per i denti di un garantista inossidabile come Enrico Costa, avvocato e deputato di lungo corso, ex ministro, responsabile Giustizia di Azione. Di fronte a questi casi, vista l’impossibilità di inserire come norma l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, non resta che disincentivare gli appelli temerari. Una soluzione che il parlamentare piemontese riproporrà, come già fatto in passato nei precedenti governi, anche al nuovo guardasigilli, quel galantuomo di Carlo Nordio, con un passata di toga non certo forcaiola. Una iniziativa per cercare di cambiare un sistema dove i pubblici ministeri spesso se non sempre procedono pervicacemente, ostinatamente in quella linea accusatoria che in verità la legge non gli attribuisce come compito assoluto. Dovrebbero cercare anche elementi a discolpa dell’indagato e poi imputato, ma quando lo fanno? E perché di fronte a una sentenza di primo grado che assolve, l’appello non è eccezione, ma costante? “Perché l’impugnazione che dovrebbe poggiare su elementi solidi, invece spesso incarna la traduzione legale di un puntiglio dei pm, nell’innamoramento di tesi o teoremi accusatori”, sostiene Costa. 

E qui si riaffaccia, non certo per la prima volta, quell’inappellabilità delle sentenze di primo grado – cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi, ma non solo suo – che difficilmente potrebbe vedere la traduzione in norma, non foss’altro per quella reciprocità che porterebbe con sé impedendo l’appello da parte dell’innocente condannato sempre in primo grado. Dunque che fare? Quale via imboccare di fronte al bivio? Costa, che della Giustizia è stato viceministro, ne indica una terza: “Se un magistrato decide non dico di accanirsi, ma di insistere con la sua tesi accusatoria che poi si rivela ancora una volta errata, questo deve pesare sulla sua valutazione. Se quel pm non sentirà il peso di tenere sulla graticola la vita di una persona, forse almeno sentirà quello di una valutazione negativa della sua professionalità”, è il ragionamento.

I magistrati vengono valutati ogni quattro anni e le statistiche dicono, purtroppo, che quasi il 99 di essi ha una valutazione positiva. Possibile? Anche si questo, sulla riforma del fascicolo di valutazione Costa si è speso chiedendo di cambiare criteri per evitare un’autoreferenzialità fin troppo evidente, a dispetto di una giustizia che funziona poco e male. “Se l’impugnazione da parte del magistrato risulta superficiale, ebbene questa superficialità emerga e pesi sulla valutazione sulla sua carriera”.

Torquemada, ma anche azzeccagarbugli, non pochi tra coloro che una volta si sarebbero detti magistrati d’assalto (solo che ad essere assaltata è la vita di tante persone e per anni e anni). Così anche l’idea di far pesare sulla carriera ostinazioni non accettabili, rischia di naufragare di fronte ad artificiosi cambi di ruolo: il pm che impugna non è più lo stesso che ha sostenuto l’accusa, i modi per passarsi la toga ci sono, anche attraverso veloci promozioni. “Ecco perché occorre vincolare in qualche modo il processo ai magistrati dell’accusa in maniera tale da evitare queste scappatoie, in una riforma che su questo punto – sostiene Costa – non è più rinviabile”. Perché per due casi di personaggi noti, come l’ex governatore della Calabria e l’ex sindaco di Novara, la cui fine dell’odissea alla quale sono stati condannati fa notizia, ci sono centinaia, migliaia di cittadini nelle stesse situazioni. Con i magistrati protetti, anche dall’ombra e dal silenzio che avvolgono questi drammi.

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